Nel fallimento l’ad è chirografario
Ai fini dell’ammissione al passivo fallimentare il credito vantato dall’amministratore delegato per l’attività gestoria non ha natura di privilegio generale al pari dei crediti di lavoro. Intanto conta l’effettiva attività svolta che va provata indipendentemente dall’eventuale inquadramento come dirigente. Poi non opera neppure la presunzione di collaborazione coordinata e continuativa che, in assenza di prova, non ha neppure natura di lavoro autonomo. Infine non si ha contratto d’opera, in quanto l'attività non è determinata a priori e si identifica con la stessa attività d’impresa. È quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza 4406 depositata ieri .
A seguito di fallimento un uomo già amministratore delegato di una Srl italiana controllata da una multinazionale estera richiede l’ammissione al passivo in privilegio per oltre 380mila euro. Alla base della richiesta lo ricorrente poneva una serie di circostanze. Lo svolgimento, in qualità di amministratore delegato, di un’attività che per l’amplissima delega conferitagli sarebbe stato possibile inquadrare anche quale rapporto di lavoro di natura dirigenziale. Inoltre l’ad dichiarava di aver agito presso la società italiana alla stregua di un collaboratore coordinato e continuativo della controllante estera, con compenso annuo legato al raggiungimento di target, utilizzo di auto aziendale, rimborso spese e diritto all'indennità di fine mandato.
In ogni caso l’attività da lui svolta poteva essere in subordine individuata quale contratto di prestazione d'opera.
Secondo la curatela invece la richiesta di ammissione va ammessa al chirografo anziché in privilegio. Anche in questo caso per una serie di ragioni.
Le deposizioni testimoniali non hanno evidenziato un assoggettamento del creditore richiedente agli altri membri del consiglio di amministrazione della controllante estera.
Non conta inoltre che egli fosse presente in sede e neppure che percepisse un elevatissimo compenso per mansioni da svolgersi nel consiglio di amministrazione al fine di configurare il rapporto di lavoro subordinato. Il compenso dell’amministratore delegato, poi, ha natura chirografaria e non è inquadrabile nel contratto d’opera, avendo a oggetto il conseguimento di un risultato non prevedibile con sopportazione del relativo rischio.
Il Tribunale dà ragione alla Curatela ma l’uomo si rivolge in Cassazione e la Corte conferma l’ammissione al chirografo perché per l’amministratore delegato non può presumersi lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato.
C’è, infatti, necessità della valutazione dell’effettiva attività svolta al fine di verificare il concreto inquadramento della natura giuridica del rapporto di lavoro dipendente, anche se può essere vincolato all’ente da un rapporto di lavoro dirigenziale, con onere probatorio che incombe sempre sul creditore che chiede il privilegio. Né può presumersi lo svolgimento di una collaborazione coordinata e continuativa a favore della controllante estera presso la controllata italiana in quanto, in assenza di prova contraria, non si configura neppure un lavoro di natura autonoma.
Lo stesso vale per il contratto d’opera in quanto l’attività svolta non è determinata a priori con sopportazione del rischio che si identifica con la stessa attività d'impresa.