Finanza

Nel Fondo salva imprese entrano le Pmi strategiche

Parte con una dote di 300 milioni  un ulteriore strumento di supporto in caso di crisi finanziaria

di Paolo Rinaldi

Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale in data 14 dicembre del decreto attuativo del Mise, il «Fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività di impresa», introdotto dall’articolo 43 del decreto Rilancio e corretto dal decreto Agosto, completa il suo percorso, introducendo nel sistema economico un ulteriore strumento governativo a sostegno delle imprese in crisi finanziaria.

Il Fondo, di cui Invitalia è il gestore (come per il fondo Patrimonio Pmi), parte con una dotazione iniziale di 300 milioni di euro, di cui almeno 90 destinati al sostegno di acquisizioni e turnaround in cui un terzo intervenga rilevando la gestione dell’azienda allo scopo di risanarla e preservare il più possibile i posti di lavoro. Tale dotazione potrà essere però incrementata, sia a livello globale che di singoli investimenti, anche da parte delle regioni ovvero da altre amministrazioni ed enti.

Gli interventi di ristrutturazione finanziati dal fondo sono rivolti a tre categorie di soggetti:

- imprese titolari di marchi storici di interesse nazionale (di cui all’articolo 185-bis del Dl 30/05), indipendentemente dalla forma societaria e dalla dimensione aziendale;

- società di capitali con non meno di 250 dipendenti;

- imprese che detengono beni e rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale.

Tra queste ultime, si includono non solo quelle appartenenti ai settori elencati nell’articolo 15 del Dl 23/20, ma anche – con definizione introdotta dal decreto attuativo – quelle che rivestono «un ruolo chiave nel promuovere lo sviluppo e il benessere della collettività».

Si tratta in quest’ultimo caso di un’espressione che lascia aperti utili margini di valutazione soggettiva da parte di Invitalia anche a fronte di dimensioni aziendali inferiori ma meritevoli di tutela.

Il decreto prevede due tipologie di interventi possibili, a seconda delle condizioni finanziarie dell’impresa: il primo opera all’interno del temporary framework ed è rivolto a imprese che, non versando in uno stato di difficoltà ai sensi della ben nota comunicazione della Commissione europea 2014/C 249/01, si trovano in stato di difficoltà finanziaria. Essa è definita (mutuando correttamente concetti aziendalistici già introdotti dal Cci) dalla presenza di flussi di cassa prospettici inadeguati a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.

Il secondo intervento è rivolto invece a imprese in difficoltà ai sensi del paragrafo 2.2 della comunicazione sopra citata: si tratta di una grande novità, perché sino a oggi il governo ha escluso tali imprese dal novero delle misure di aiuto di stato vincolate dal temporary framework.

Si tratta delle imprese con patrimonio netto sotto al minimo legale o negativo, in procedura concorsuale, o – se non Pmi – con un rapporto debito/patrimonio netto contabile superiore a 7,5 e un rapporto Ebitda/interessi inferiore a 1,0 negli ultimi due anni.

Il piano di risamento

Le imprese dovranno fare un vero e proprio piano di risanamento, che descriva le capacità imprenditoriali, faccia un quadro chiaro della crisi, delle sue cause e del posizionamento di mercato dell’impresa, evidenzi tutte le azioni e gli interventi gestionali e finanziari previsti, e ovviamente gli interventi per il sostegno all’occupazione.

Questi possono andare da processi di riqualificazione, innovazione organizzativa e tecnologica, modelli contrattuali e schemi di orario di lavoro e anche gestione degli esuberi di personale.

È necessario porre in essere un’attività di M&A, citando eventuali soggetti già interessati o il percorso da seguire per individuarli, e tra questi è previsto possano anche esservi gli stessi dipendenti con processi di workers’ buy-out.

Il fondo interverrà per le prime imprese, in mera crisi finanziaria, con interventi nel capitale di rischio dell’impresa richiedente o di quella che subentra nell’attività della prima (investitore), mentre per le imprese in difficoltà ai sensi del paragrafo 2.2, solo tramite interventi nel capitale della richiedente, ma con un intervento aggiuntivo a fondo perduto commisurato agli impegni occupazionali assunti dall’impresa.

L’importo complessivo di ciascun intervento – per entrambe le categorie di impresa – ha un tetto massimo di 10 milioni di euro, che però potrà essere superato in presenza di un ulteriore sostegno da parte della regione interessata dal programma di risanamento o altre amministrazioni o enti.

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