Adempimenti

Nel test sulla non commercialità va delimitato il controllo analitico

Per le piccole realtà occorre escludere procedure complesse. Devono essere consideratii costi diretti e indiretti delle attività effettuate

di Gabriele Sepio e Thomas Tassani

Ai fini dell’iscrizione al Registro unico del Terzo settore, per operatori e professionisti assume particolare rilevanza il test sulla natura commerciale o meno dell’ente che dovrà essere svolto prendendo le mosse da quanto previsto dall’articolo 79 del Dlgs 117/2017 (Codice del Terzo settore o Cts).

Una disposizione quest’ultima che classifica come non commerciali quelle attività di interesse generale rese a fronte di corrispettivi non commisurati al costo del servizio. Pertanto, le realtà che intendono assumere la qualifica di ente del Terzo settore (Ets), per inquadrare un’attività come commerciale o meno, saranno tenute ad effettuare un raffronto tra costi e ricavi considerando come non commerciali le attività svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superino i costi effettivi.

E proprio in questo contesto che, ai fini della corretta applicabilità del test di prevalenza, occorrerà sciogliere alcuni dei dubbi interpretativi per una corretta applicazione delle nuove regole. Primo fra tutti quello relativo a quali costi debbano essere presi in considerazione e come operare la valutazione degli stessi.

A ben vedere, la norma parla di «costi effettivi», nozione questa che dovrebbe ricomprendere anche quelli di diretta imputazione (accantonamenti) e che come correttamente precisato nella circolare del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, pubblicata il 21 aprile 2021, va intesa come «costo pieno». Con la conseguenza che dovranno essere imputati sia i costi indiretti, generali e finanziari afferenti alla specifica attività considerata, sia la quota relativa ai costi generali dell’ente.

Altro aspetto da chiarire riguarda, invece, il tipo di valutazione da operare sui costi, dato che l’articolo 79 del Cts non contiene alcuna indicazione in merito. La ratio della norma induce a preferire una valutazione non eccessivamente formalistica e limitativa. In questo senso, qualora l’ente eserciti una pluralità di attività di interesse generale, sembrerebbe doversi escludere la necessità di un test di tipo analitico, che consideri separatamente ogni singola attività. Più coerente risulta, invece, l’idea di un test di tipo generale, che consideri in termini unitari e complessivi l’attività esercitata dell’ente.

Tale modalità, infatti, consentirebbe alle tante realtà non profit di non trovarsi nella situazione di dover operare una netta distinzione tra le singole attività, semplificando così le procedure e diminuendo i profili di incertezza. Ragionando in una prospettiva de iure condendo, potrebbe anche valutarsi una soluzione che tenga conto della dimensione degli enti. Così facendo, le realtà che presentano ricavi o compensi inferiori a una determinata soglia potrebbero optare per un test complessivo mentre quelli con entrate superiori dovrebbero necessariamente utilizzare un test analitico o per categorie omogenee di attività, anche nella prospettiva di evitare arbitraggi fiscali.

Da ultimo, desta qualche perplessità la questione legata al mutamento della qualifica da Ets non commerciale a commerciale. Non commercialità che, va ricordato, potrà verificarsi anche in presenza di lievi oscillazioni tra costi e ricavi (nel limite del 5%) a condizione però che ciò non si protragga per più di due periodi di imposta consecutivi. Su tale aspetto la norma prevede che il mutamento operi a partire dal periodo di imposta in cui l’ente assume in concreto natura commerciale.

Si tratta di una impostazione che potrebbe essere penalizzante per gli enti che vedrebbero mutare il proprio regime impositivo in corso d’anno e quindi con effetti sostanzialmente retroattivi. Probabilmente nell’ottica di operare una semplificazione nella gestione delle attività di interesse generale è condivisibile auspicare un intervento legislativo volto a trasporre gli effetti legati al mutamento della qualifica a far tempo dal periodo d’imposta successivo al verificarsi dei presupposti.

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