Controlli e liti

Nelle cooperative il ristorno va considerato rimborso ai soci del prezzo di beni e servizi

La Cassazione (sentenza 1853/2020) chiarisce la natura della remunerazione non distribuita in base ai conferimenti

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di Roberto Bianchi

Nell’ambito delle società cooperative i ristorni – da distinguere dagli utili in senso proprio che, in quanto remunerazione del capitale, sono distribuiti in proporzione ai conferimenti effettuati da ciascun socio – costituiscono uno degli strumenti tecnici per attribuire alla compagine sociale il vantaggio mutualistico (risparmio di spesa o maggiore retribuzione) derivante dai rapporti di scambio intrattenuti con la cooperativa, traducendosi in un rimborso ai soci di parte del prezzo pagato per i beni o servizi acquistati dalla società. A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione con la sentenza n. 1853/2020.

La ripartizione del plusvalore
È utile analizzare le potenziali applicazioni pratiche che lo strumento è in grado di realizzare durante la vita dell’ente con riferimento, nello specifico, ai criteri di ripartizione declinabili nello statuto (o nel regolamento interno), in relazione alle modalità attraverso le quali sintetizzare le menzionate regole in una specifica metodologia di calcolo.

Tali aspetti afferiscono al meccanismo attraverso il quale la cooperativa si propone di ripartire il plusvalore prodotto dalle proprie attività tra i soci che hanno concorso a crearlo e che, nella sua differenziazione dal procedimento ordinario di remunerazione del capitale per mezzo dei dividendi, evidenza l’essenza del fenomeno cooperativo, traducendo in risultati tangibili il senso di concetti astratti quali quello di mutualità, di gestione del servizio e di scambio tra i soci cooperatori.

Si ritiene opportuno rammentare le disposizioni che sin dal 2003 hanno codificato l’istituto dei ristorni, istituzionalizzando una disciplina che prima della riforma risultava frammentaria e parcellizzata. Di conseguenza, l’attenzione è stata orientata verso il n. 8 del comma 3 dell’articolo 2521 del Codice civile, che disciplina la necessaria previsione - collocata all’interno dell’atto costitutivo della società cooperativa - «delle regole per la ripartizione degli utili e i criteri per la ripartizione dei ristorni», oltre che verso l’articolo 2545-sexies del Codice, il quale dispone che «l’atto costitutivo determina i criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici».

Il contributo - che scaturisce dalla disciplina positiva afferente ai contenuti e alle modalità di funzionamento attraverso le quali tali criteri vengono chiamati a rappresentare il beneficio erogabile ai soci proporzionalmente alla quantità e alla qualità degli scambi mutualistici effettuati - risulta essere di mero indirizzo, coerentemente alla specifica volontà del legislatore di rimettere alla decisione dei soci la determinazione delle modalità e dei criteri di gestione del ristorno, cosi come chiaramente esplicitato dalla stessa legge delega, nella quale si afferma l’intendimento di disciplinare «il ristorno ... riservando i più ampi spazi possibili all’autonomia statutaria» (comma 2, articolo 5, legge 366/2001).

Conta l’autonomia privata
La formulazione della norma, esaminando esclusivamente in termini generali e indiretti la qualificazione dei ristorni e la loro regolamentazione, rimanda al necessario intervento integrativo dell’autonomia privata la traduzione dell’istituto menzionato in un procedimento strutturato e concreto. Tutto ciò non risulta affatto anomalo, considerata l’ampia discrezionalità che la legge consente, anche alle società di capitali, nel regolare liberamente l’attribuzione dei diritti patrimoniali tra i soci.

Pertanto i menzionati criteri dovranno necessariamente essere accolti in una disposizione di rango statutario che ne disciplini, il funzionamento e le modalità di applicazione oltre alla formulazione dei rappresentati principi per il luogo che li ospita e per la funzione assolta dai medesimi, che dovrà inevitabilmente essere espressa in termini tali da soddisfare il postulato della parità di trattamento sancito dall’articolo 2516 del Codice civile.

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