Nelle Pmi rischio autovalutato con pochi elementi
Tra i diversi strumenti necessari per strutturare adeguati assetti organizzativi nelle imprese italiane, quelli che consentono il monitoraggio della continuità aziendale nel tempo rappresentano la porzione più avanzata e intangibile, rispetto a strumenti di misurazione più tradizionali come la tesoreria aziendale e il controllo di gestione.
Vi è senza dubbio un connotato dimensionale di cui occorre tenere adeguato conto. Le imprese più grandi e strutturate, quelle quotate sui mercati regolamentati o, più in generale, in cui vi è separazione tra management e proprietà, hanno da tempo (spesso per necessità normativa) istituito adeguati assetti. In questo caso gestiscono in genere il risk management con logiche talvolta inserite in modelli organizzativi gestionali (Mog) implementati tenuto anche conto del decreto legislativo 231/2001 sulla responsabilità degli enti.
Gli amministratori di queste imprese nel monitorare i rischi proteggono loro stessi adottando logiche di prevenzione conseguenti alla circostanza di dover poi rispondere personalmente di fronte alla proprietà ed ai terzi per eventuali errori, sottovalutazioni o imprudenze eccessive.
Ben diverso è il quadro di partenza della piccola e media impresa italiana, basata sul capitalismo familiare, in cui l'imprenditore proprietario costituisce anche l'organo amministrativo, ovvero vi è legato da un rapporto di parentela. In questo caso, la percezione (e dunque la gestione) del rischio da parte degli amministratori è profondamente legata al proprio rapporto con l'impresa quali proprietari.
Ci si trova usualmente di fronte a una soglia di rischio percepito più bassa e con una tolleranza più elevata, talvolta accompagnata anche dalla mancanza di strumenti di misurazione e gestione di quel rischio, che sono invece tipici di soggetti che hanno un maggiore interesse a proteggersi come amministratori indipendenti.
Esiste dunque un modello di gestione del rischio di continuità aziendale per la Pmi familiare? Certamente i costosi e complessi sistemi di risk management non potranno essere calati sulle fragili spalle organizzative (e talvolta anche economiche) di piccole imprese, con il rischio che l'armatura sia così pesante per la corporatura del guerriero da ingessarlo e impedirgli il movimento.
Per queste aziende adottare piani aziendali pluriennali e modelli di risk management sofisticati è non solo prematuro ma talvolta inappropriato, perché ne snaturerebbe le caratteristiche competitive di velocità, snellezza e flessibilità. Occorre ripensare il modello di gestione del rischio, impostando cruscotti aziendali semplici, basati su questionari qualitativi di autovalutazione, che dovranno costituire oggetto di un confronto con gli organi di controllo, che sono i naturali interlocutori di questi cruscotti aziendali.
Introdurre un micro-sistema di business intelligence che riporti anche talune variabili chiave di tipo qualitativo può essere una soluzione interpretativa ottimale per favorire una progressiva evoluzione anche organizzativa nelle Pmi. Queste potranno con il tempo affinare l'assetto organizzativo verso modelli più evoluti di gestione del rischio, sostenendo anche i relativi investimenti umani e finanziari ma solo dopo averne visto i benefici.