Contabilità

Nelle società ibride va sventata la possibilità della doppia deduzione

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di Marco Piazza

Oltre alle norme in tema di disallineamento da ibridi che riguardano gli strumenti finanziari aventi opposta qualificazione in due diverse giurisdizioni (si veda Il Sole 24 ore del 28 novembre 2019), il decreto legislativo 142/2018 contiene ulteriori disposizioni che hanno l’obiettivo di contrastare l’utilizzo di società ed enti cui viene attribuito un differente trattamento fiscale nei vari Stati, come disposto dalle direttive comunitarie Atad 1 e 2.

Una prima tipologia è quella delle entità ibride che pur avendo natura opaca nel proprio Stato di localizzazione sono considerate trasparenti da parte dei propri soci esteri. Esse possono fare pagamenti deducibili, anche nell’ambito di un consolidato nazionale, a favore della propria controllante estera che, invece, non riconosce autonoma soggettività alla propria partecipata in quanto trasparente e non recepisce nel proprio reddito imponibile i pagamenti ricevuti. Si verifica quindi un ulteriore caso di “deduzione senza inclusione” o “D/NI”, in cui lo Stato del pagatore è tenuto a negare la deducibilità del costo sostenuto e in difetto si applica la tassazione nello Stato del beneficiario (defensive rule). A evitare effetti pregiudizievoli, non occorre tuttavia porre in essere alcun correttivo in presenza di “reddito a doppia inclusione”, e cioè di proventi conseguiti e quindi tassabili sia nello Stato di localizzazione dell’entità ibrida che in quello della controllante.

Per quanto riguarda l’Italia, la casistica in esame potrebbe riguardare i pagamenti fatti da società italiane opache ai propri soci esteri i quali, ove considerino l’entità italiana come trasparente e quindi ibrida, non includono nel proprio imponibile i proventi percepiti. Non rilevano invece i pagamenti ricevuti dai soci italiani di entità estere, le quali vengono comunque quivi considerate soggetti passivi dell’Ires e come tali opache. Il disallineamento può verificarsi anche nel caso opposto delle entità ibride inverse, le quali sono trasparenti nel proprio Stato, ma vengono viceversa considerate opache nello Stato dei propri soci.

Le entità ibride inverse possono pertanto ricevere pagamenti, di regola deducibili da parte di chi li effettua, i quali non sono assoggettati a tassazione neppure in capo ai propri partecipanti dato il loro regime di assoluta trasparenza; e dall’altro lato, nello Stato di residenza dei partecipanti, l’entità è considerata opaca e quindi i redditi da essa conseguiti non sono tassabili se non al momento della distribuzione. Per quanto riguarda l’Italia, questa casistica potrebbe determinare l’indeducibilità dei pagamenti fatti a favore di società ibride inverse straniere, con possibili effetti anche per gli organismi collettivi esteri ivi considerati trasparenti ma non nello Stato dei propri partecipanti. Le società italiane, quanto ai pagamenti ricevuti, non possono invece di regola considerarsi ibride inverse trasparenti data la tassazione che si applica in capo ad esse, o in capo ai propri soci per le società di persone, salvo il caso degli Oicr italiani cui la legge attribuisce un preciso regime di esenzione a prescindere dall’eventuale disallineamento. Va peraltro notato che il decreto legislativo 142/2018 interviene anche nel caso dei cosiddetti disallineamenti importati in cui, con una sorta di interposizione, un pagamento deducibile cui corrisponde un provento tassabile in altro Stato va indirettamente a finanziare oneri deducibili che generano un disallineamento, senza che tale effetto venga rimosso nelle giurisdizioni estere interessate.

L’indeducibilità dei pagamenti prevista nelle predette ipotesi di deduzione senza inclusione trova comunque gli stessi limiti degli strumenti finanziari ibridi, essendo circoscritta ai pagamenti tra imprese associate o agli accordi strutturati anche con soggetti terzi. Ad ogni buon conto, l’utilizzo di società ibride inverse è destinato a ridursi con il diffondersi di norme nazionali, a seguito delle azioni intraprese sia in sede comunitaria con la direttiva Atad 1 che da parte dell’Ocse nelle raccomandazioni contenute nei report Beps 2 e 6, volte ad introdurre e rafforzare la disciplina Cfc (Controlled foreign companies) delle controllate estere. Ad esigenze analoghe risponde anche la disposizione della Atad 2 e recepita anche in Italia la quale, con esclusione degli Oicr, impone la tassazione dei redditi conseguiti da entità ibride inverse qualora controllate da soci ivi non residenti.

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