Contabilità

Nessun obbligo di capitalizzare i costi di manutenzione dei beni

Le imprese sono libere di scegliere tra deduzione delle spese e imputazione a incremento del cespite

di Giorgio Gavelli

L’alternativa tra imputazione a incremento del cespite e deduzione nel limite percentuale (con ripartizione nei cinque esercizi successivi dell’eccedenza) - prevista dall’articolo 102, comma 6, del Tuir in merito alle spese di manutenzione e riparazione dei beni materiali - è un’opzione a favore dell’imprenditore. E di conseguenza l’agenzia delle Entrate non può pretendere la capitalizzazione di tali oneri laddove ritenuti di natura straordinaria: questo il principio ribadito dalla Cassazione con l’ordinanza 7532/2020, depositata lo scorso 26 marzo.

Il giudizio riguarda costi di manutenzione di un immobile che la società ricorrente aveva dedotto in cinque anni, e che secondo l’Agenzia costituivano invece spese incrementative che dovevano essere capitalizzate al costo dell’immobile e ammortizzate insieme ad esso, ex articolo 102, comma 2, Tuir. In base al comma 6, tuttavia, le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate a incremento del costo dei beni a cui si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5% del costo complessivo dei beni materiali ammortizzabili, quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili; mentre l’eccedenza è deducibile per quote costanti nei cinque esercizi successivi.

Solo per le imprese di nuova costituzione il limite percentuale si calcola, per il primo esercizio, sul costo complessivo dei beni quale risulta alla fine dell’esercizio. Resta ferma la deducibilità nell’esercizio di competenza dei compensi periodici dovuti contrattualmente a terzi per la manutenzione di determinati beni, del cui costo non si tiene conto nella determinazione del citato limite percentuale.

Nessun obbligo per l’impresa
Per la Cassazione, è oramai principio consolidato (come emerge dalle precedenti pronunce 31607/2018, 3170/2018, 18810/2017 e 7885/2016) che questa norma conceda un’opzione all’impresa, la quale non ha alcun obbligo di capitalizzare le spese di natura incrementativa al costo dei beni oggetto di intervento.

Secondo il principio contabile Oic 16, i costi di manutenzione ordinaria sono rilevati a conto economico nell’esercizio in cui sono sostenuti; mentre quelli di manutenzione straordinaria (che producono un aumento significativo e misurabile di capacità, di produttività o di sicurezza dei cespiti, ovvero ne prolungano la vita utile) rientrano tra i costi capitalizzabili nei limiti del valore recuperabile.

Variazioni rilevanti, apportate a cespiti già esistenti a seguito di queste operazioni, comportano un’attenta valutazione (possibilmente documentata) dei costi sostenuti per determinarne la parte che è capitalizzabile e quella che è invece da considerarsi manutenzione ordinaria. Dopo la capitalizzazione, l’ammortamento si applica in modo unitario riguardo al nuovo valore contabile del cespite, tenuto conto della sua residua vita utile (così anche le circolari 10/E/2005 e 98/E/2000).

Peraltro, la capitalizzazione delle spese di manutenzione, o la loro rilevazione a conto economico, sembra rientrare tra i fenomeni classificatori, che dal 2016 assumono rilevanza fiscale in forza del principio di derivazione rafforzata, per i soggetti Oic diversi dalle micro-imprese (articolo 83, comma 1, Tuir).

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