Controlli e liti

Niente rettifica parziale senza elementi certi

Nell’ambito di vicende che ruotano attorno all’abrogato istituto dell’adesione ai Pvc, la Corte effettua delle considerazioni sulla latitudine degli accertamenti parziali

di Dario Deotto

L’accertamento parziale non può essere emesso per un’attività valutativa svolta dall’ufficio.

È questo un aspetto – davvero rilevante – dell’ordinanza della Cassazione n. 29036/21.

La pronuncia ha per oggetto l’adesione ai Pvc (processi verbali di constatazione) prevista dall’articolo 5-bis del decreto legislativo 218/1997 (ora abrogato). La norma stabiliva la possibilità per il contribuente di prestare adesione ai Pvc che «consentono l’emissione di accertamenti parziali». Nel caso oggetto della vertenza era stato emesso processo verbale «con il quale erano stati accertati ricavi contabilizzati e non dichiarati» (la società aveva omesso la dichiarazione); processo verbale a cui la società aveva prestato adesione. Una volta ricevuto l’atto di definizione, la società aveva però presentato ricorso, evidenziando che dovevano essere riconosciuti i costi sostenuti, che la stessa società aveva indicato nel Pvc (nella parte conclusiva delle osservazioni).

Nell’ambito quindi di vicende che ruotano attorno all’abrogato istituto dell’adesione ai Pvc, la Corte effettua delle considerazioni sulla latitudine degli accertamenti parziali. La Cassazione rileva innanzitutto che l’accertamento parziale «è connotato dalla contestazione di un maggior debito d’imposta, senza che emerga alcuna attività valutativa da parte dell’amministrazione finanziaria, profilo che, invece, attiene all’atto di accertamento ordinario».

Si tratta di un’affermazione rilevantissima, anche considerando che nel caso di specie i ricavi erano stati contabilizzati ma non dichiarati, e l’ufficio non aveva effettuato alcun “induttivo”. Inoltre, si specifica che «l’eventuale evidenziazione di costi, pur se risultanti dal processo verbale…, implica necessariamente una eventuale attività di accertamento in ordine alla loro esistenza ed inerenza, dunque una attività valutativa che fuoriesce» dall’ambito dell’istituto (questo passaggio è probabilmente per non avvalorare le tesi del contribuente, ma è comunque significativo).Inoltre: «la ratio dell’accertamento parziale…si rinviene nella esigenza di consentire l’imposizione di una capacità contributiva che emerga ictu oculi».

Si tratta, di affermazioni che si condividono pienamente, posto che l’introduzione dell’istituto dell’accertamento parziale da sempre risponde alla sola esigenza dell’Amministrazione di procedere all’accertamento quando risultano elementi (certi) che consentono immediatamente di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato (o di corrispettivi non dichiarati per l’Iva), senza necessità di verificare la posizione complessiva del contribuente (da qui il nome di “accertamento parziale”). Nell’ambito dei numerosi interventi normativi che l’istituto ha subito, l’ambito di operatività dello stesso è stato però esteso a praticamente tutto, fino a sovrapporlo, di fatto, a quello dell’accertamento ordinario (con la differenza che il “parziale” consente di reiterare, senza pregiudizio dei canoni necessari per l’ulteriore azione accertatrice, l’attività di rettifica). Tuttavia, come si è sempre riportato su queste pagine, la norma continua a prevedere che la rettifica parziale può essere eseguita soltanto se «risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato», da intendersi, sostanzialmente, “elementi certi”. Con la conseguenza che prove non documentali, cioè presuntive, non possono consentire l’emanazione dell’atto di rettifica “parziale”. Ed è quanto ora afferma sostanzialmente la Cassazione. Le conseguenze, se l’orientamento dovesse risultare confermato, sono decisamente significative: si pensi al contraddittorio preventivo (escluso per i “parziali”).

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