Controlli e liti

Non è applicabile la direttiva recepita male

di Marina Castellaneta

Una direttiva non recepita o recepita male in un ordinamento nazionale non può creare obblighi a carico di un singolo e, quindi, non può essere fatta valere nei suoi confronti nelle controversie tra privati. Di conseguenza i giudici nazionali, se non possono procedere all'interpretazione conforme, non sono obbligati alla disapplicazione del diritto interno. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza depositata il 7 agosto nella causa C-122/17.

È stata la Corte di appello irlandese a chiedere aiuto agli eurogiudici prima di risolvere una controversia con al centro il passeggero di un furgone che aveva subito danni in un incidente stradale. La compagnia di assicurazione si era rifiutata di concedere il risarcimento in quanto nella polizza era indicato espressamente che non erano coperti i passeggeri che si trovavano in una parte dell'autoveicolo non progettato per trasportare persone. L'uomo si era rivolto ai giudici irlandesi per ottenere la dichiarazione di nullità della clausola ritenuta in contrasto con la terza direttiva 90/232 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, sostituita dalla 2009/103. La domanda era stata accolta, ma la compagnia aveva impugnato la decisione e così i giudici di appello, prima di decidere, si sono rivolti a Lussemburgo.

Chiarito l'obbligo dei giudici nazionali di procedere all'interpretazione conforme del diritto interno con le norme Ue, salvo nei casi in cui ciò conduca a un’interpretazione contra legem del diritto nazionale o a una violazione dei principi generali del diritto, la Corte di giustizia ha stabilito che una direttiva, anche se non recepita correttamente, nelle controversie tra privati non può condurre a un obbligo di disapplicazione del diritto interno.

Anche nei casi in cui – osserva Lussemburgo - una norma di una direttiva sia chiara, precisa e incondizionata, conferisca diritti o imponga obblighi ai singoli, essa «non può essere applicata come tale nell’ambito di una controversia che ha luogo esclusivamente tra singoli». L’obbligo di disapplicazione, infatti, vale solo se la direttiva è invocata nei confronti di uno Stato membro e, quindi, contro gli organi amministrativi, incluse le autorità decentralizzate, gli organismi sottoposti al controllo dello Stato e nei confronti di coloro che assolvono a un compito di interesse pubblico per conto dello Stato. Se il giudice nazionale non può interpretare il diritto interno in modo conforme alla direttiva non può imporre al singolo – in questo caso la compagnia di assicurazione - il risarcimento del danno disapplicando la norma interna. Posto il freno all’estensione dell’invocabilità della direttiva nell'ambito dei rapporti tra singoli, la Corte ha ribadito, però, in linea con la sentenza Francovich, che la parte lesa dalla non conformità del diritto interno alle regole Ue può chiedere allo Stato membro il risarcimento del danno subito per il non corretto recepimento.

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