Controlli e liti

Non paga l’Irap l’avvocato collaboratore esterno

Lo ribadisce la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 34484/2021

di Marina Crisafi

L’avvocato che esercita la professione come collaboratore esterno di uno studio legale, limitandosi ad utilizzare i beni messi a sua disposizione (come pc, telefono, eccetera) senza assumere una funzione di responsabilità nell’organizzazione, non è soggetto al versamento dell’Irap. Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza 34484/2021.

La vicenda

La vicenda, portata all’attenzione della Suprema corte, ha origine dalla sentenza con cui la Ctr della Lombardia aveva respinto l’appello incidentale dell’avvocato e accolto l’appello principale proposto dal fisco, avverso la decisione con cui la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva ritenuto fondato il ricorso con il quale il professionista contribuente chiedeva il rimborso dell’Irap versata e ritenuta non dovuta.

Secondo la Ctr l’avvocato, per svolgere la propria attività, si era avvalso di un’autonoma organizzazione, avendo utilizzato beni e servizi propri ed in associazione con altri professionisti, come dichiarato dallo stesso e rilevato nelle dichiarazioni dei redditi, per cui doveva pagare l’Irap. Il professionista, a questo punto, ricorre in Cassazione, sostenendo che i requisiti per il pagamento dell’imposta difetterebbero nel caso concreto, posto che egli esercitava la professione di avvocato quale semplice collaboratore esterno di uno studio legale, senza assumere all’interno di esso né una funzione direttiva o di responsabilità né la qualifica di associato, limitandosi ad utilizzare beni posti a disposizione dallo studio per l’esercizio dell’attività lavorativa (ufficio, pc, telefoni e servizi di segreteria).

La decisione

I giudici di legittimità gli danno ragione citando il principio affermato dalla sezioni unite (sentenza 9451/2016), secondo cui con riguardo al presupposto dell’Irap, il requisito dell’autonoma organizzazione - previsto dall’articolo 2 del Dlgs 446/1997 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

Nel caso esaminato, la Ctr invece si è limitata a ricavare la sussistenza del presupposto per l’applicazione dell’Irap dal fatto che «il contribuente, per svolgere la propria attività di avvocato, si è avvalso di un’autonoma organizzazione, avendo utilizzato beni e servizi propri ed in associazione con altri professionisti». Così opinando, però, il giudice di merito, rincara la Suprema corte, «ha del tutto trascurato di verificare la sussistenza nel caso concreto dei due requisiti realmente rilevanti al fine di integrare il presupposto impositivo, se cioè il contribuente fosse il responsabile dell’organizzazione (e non fosse, dunque, semplicemente inserito in un’organizzazione riferibile ad altrui responsabilità ed interesse) e se i beni utilizzati eccedessero il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività». La sentenza impugnata è pertanto cassata. Parola al giudice del rinvio.

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