Controlli e liti

Oltre la presunzione: si può provare la residenza black list

di Marco Croce e Valerio Vallefuoco

La Corte di Cassazione ( sentenza 19410 del 20 luglio 2018 ) ritorna a pronunciarsi sul delicato tema del trasferimento della residenza fiscale all’estero sancendo il principio secondo cui la presunzione di residenza italiana in caso di Paesi a fiscalità privilegiata in giudizio non regge se il contribuente fornisce validi elementi di fatto a prova contraria. Vediamo come.

Ai fini dell’articolo 2, comma 2 del Tuir «si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile». Tuttavia, secondo il consolidato orientamento di prassi e giurisprudenza, la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e la conseguente iscrizione all’Aire non è un requisito sufficiente per determinare la residenza al di fuori del territorio italiano.

Oltretutto, nei casi in cui la residenza venga trasferita in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (black list Dm 4 maggio ’99), la norma rubricata nell’articolo 2, comma 2-bis del Tuir introduce una presunzione legale di residenza in Italia, invertendo, altresì, l'onere della prova a discapito del contribuente. Ricordiamo, però, che tale presunzione, può essere sempre legittimamente superata, fornendo validi elementi di fatto, quali il contratto di affitto relativo a un appartamento nel Paese estero, la regolare corresponsione di affitti e spese accessorie, la congruità delle spese relative alle varie utenze e contratti bancari, che possano essere positivamente valutati dall’Amministrazione.

È proprio sulla possibilità del contribuente di fornire elementi utili ad individuare la propria effettiva residenza che si fonda la sentenza 19410. La Cassazione ha, infatti, affermato che tutti gli elementi di fatto rilevanti, e attinenti ai legami personali e professionali dell’interessato, debbano essere presi in debita considerazione e la relativa valutazione espressa nelle motivazioni di merito.

I fatti discussi riguardano un tennista che dal 1998 aveva spostato nel principato di Monaco la propria residenza. Le Entrate avevano sottoposto il contribuente ad accertamento fiscale per l’anno 2000 proprio in virtù del comma 2-bis dell’articolo 2 del Tuir. I giudici di merito avevano sostenuto la tesi erariale. Con la decisione in commento, però, i giudici di Piazza Cavour hanno rimandato il giudizio ai giudici della Ctr, accogliendo, così, i motivi del ricorso presentato dal contribuente.

La Cassazione ha ritenuto, infatti, che l’insieme dei dati fattuali esposti dal contribuente, quali il contratto di affitto relativo ad una appartamento sottoscritto a nome dello stesso, la regolare corresponsione degli affitti e delle spese accessorie, la congruità delle spese relative alla varie utenze in uso in detto appartamento, l’utilizzo da parte dello stesso delle strutture di allenamento Atp del principato, nonché l’evidenza che il principato fosse la base abituale dei trasferimenti del contribuente, frutto dell’espletamento della sua attività, fossero elementi decisivi al fine di individuare la residenza effettiva dello stesso.

Cassazione tributaria, ordinanza 19410 del 26 luglio 2018

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