Omesso versamento «giustificabile»
Con alcune recenti pronunce, la Corte di cassazione è tornata a fare il punto su crisi di liquidità e reati fiscali. A distanza di più di 4 anni dalla sentenza 37425/2013, con la quale le Sezioni unite avevano statuito che per la configurazione del reato di omesso versamento di ritenute certificate è sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e la volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, la giurisprudenza di legittimità ha via via precisato la portata effettiva dell'elemento soggettivo del reato in esame.
In particolare con la sentenza 6737/2018 la Corte ha escluso che il dolo da evasione possa essere scisso, in particolari casi di crisi dove i lavoratori sarebbero privati dei loro mezzi di sostentamento, dalla consapevolezza della illiceità della condotta che viene investita dalla volontà. Su queste basi, i giudici di legittimità hanno annullato con rinvio la sentenza con la quale la Corte di appello di Brescia aveva condannato la legale rappresentante di una società, per omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis Dlgs 74/2000). L'imputata, divenuta amministratrice, aveva trovato una società in crisi di liquidità e per far fronte al pagamento degli stipendi ai dipendenti aveva omesso di versare le ritenute fiscali. Secondo la Corte di appello ciò configurava il dolo dell'imputata, in quanto la scelta di pagare gli stipendi anziché provvedere al pagamento delle ritenute valeva di per sé ad escludere che l'amministratrice si fosse trovata in una situazione di assoluta impossibilità di adempiere al debito d'imposta. Ma per la Cassazione questa ricostruzione non è giuridicamente completa: il giudice di secondo grado avrebbe dovuto considerare in modo completo la fattispecie senza escludere dalla propria indagine l'accertamento dell'elemento soggettivo del reato. In altri termini, occorreva accertare se l'imputata avesse agito con la convinzione che i dipendenti necessitassero l'immediata corresponsione di mezzi di sostentamento necessari per loro e per le loro famiglie e se realmente tale convinzione l'avesse indotta a pagarli a costo di omettere il versamento delle ritenute.
Altri importanti correttivi rispetto alla generale tendenza ad escludere che lo stato d'insolvenza possa liberare il sostituto d'imposta dall'obbligo di pagamento nei confronti dell'erario, si rinvengono nella sentenza 15235/2017; qui la Cassazione ha escluso la responsabilità della ricorrente divenuta amministratrice unica solo allorché la società versava già in condizioni di dissesto finanziario. Nessuna responsabilità poteva essere ascritta alla ricorrente, la quale non solo non aveva in alcun modo contribuito al dissesto ma si era altresì trovata di fronte all'impossibilità di adempiere al debito Iva, tant'è che da lì a poco avrebbe proposto istanza di concordato preventivo.
Sempre in tema di omesso versamento Iva, la Cassazione con una ancor più recente sentenza (6220/2018) ha, invece, ravvisato la sussistenza del dolo eventuale e non la mera colpa nel fatto del neo-amministratore che, subentrato al precedente dopo la dichiarazione d’imposta e prima della scadenza del versamento, aveva omesso di compiere il previo controllo su base documentale, in ordine agli ultimi adempimenti fiscali per poi non adempiere al debito tributario. Dal punto di vista dell'elemento soggettivo, l'omessa verifica, unitamente alla consapevolezza dello stato di difficoltà economica della società, sarebbe sufficiente, secondo gli Ermellini, ad integrare l'imputabilità del fatto –reato a titolo di dolo eventuale.
Cassazione, sentenza 6737/2018