Imposte

Operazione non imponibile senza la detrazione Iva

La Guardia di Finanza recepisce la sentenza 24289/2020 della Cassazione

di Anna Abagnale e Benedetto Santacroce

Il cessionario non ha diritto alla detrazione dell’Iva erroneamente corrisposta in riferimento ad un’operazione non imponibile, ma questa spetta solo se l’errore commesso dal fornitore riguarda l’applicazione di un’aliquota più alta di quella dovuta.

In tal senso si esprimono la circolare dalla Guardia di Finanza che, modificando quanto disposto nella precedente circolare 114153/2018, recepiscono alla lettera la sentenza 24289/2020 del 3 novembre, con la quale la Cassazione ha espressamente escluso la possibilità del cessionario/committente di procedere alla detrazione in riferimento ad una fattura in cui sia stata erroneamente addebitata l’Iva. Tale divieto – a dire della Corte – vale anche a seguito della modifica dell’articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997 ad opera della legge di Bilancio 2018 la quale, con efficacia retroattiva, distinguendo tra due tipologie di condotte illecite, ha introdotto due diverse sanzioni:

a) una fissa (compresa fra 250 euro e 10mila euro) per il cessionario/committente in caso di applicazione dell’Iva in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, fermo restando il diritto del medesimo cessionario/committente alla detrazione;

b) una del 90% (e non più 100%) dell’ammontare della detrazione illegittimamente compiuta dal cessionario/committente negli altri casi in cui l’imposta è stata assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa.

Declinando l’orientamento della Suprema corte e, ora, anche quello della Guardia di Finanza, l’ipotesi in cui il cliente abbia pagato al fornitore (e di conseguenza abbia detratto) l’Iva addebitatagli per errore in fattura sarebbe ascrivibile a questa seconda fattispecie normativa (sub lettera b) anziché alla precedente (sub lettera a). Con la pesante conseguenza dovuta al recupero dell’Iva detratta e all’irrogazione di una sanzione di tipo proporzionale piuttosto che fissa.

Attenzione, pertanto, a rettificare in tempo le operazioni non imponibili, esenti o escluse da imposta trattate, per errore, come imponibili ai fini Iva. Queste operazioni, anche in assenza di frode o danno per l’Erario (laddove il fornitore ha versato l’imposta), verosimilmente saranno soggette al recupero dell’Amministrazione finanziaria, la quale ha preferito adeguarsi all’orientamento restrittivo della Cassazione per cui nel concetto di «Iva applicata in misura superiore alla effettiva» possono essere ricondotte solo le ipotesi in cui il cedente/prestatore abbia applicato un’aliquota superiore a quella corretta e non quelle in cui abbia applicato l’imposta a fronte di operazioni esenti, non imponibili o escluse da imposta.

Tale interpretazione non si ritiene condivisibile in quanto, nella sostanza, la situazione in cui è applicata l’imposta con un’aliquota superiore a quella dovuta non può dirsi diversa da quella in cui l’imposta è applicata sebbene non dovuta per altri motivi (non imponibilità, esenzione, etc.): in entrambi i casi l’Iva è versata in eccesso e il discrimine tra una condotta illecita e l’altra non può essere la “quantità” di imposta erroneamente versata.

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