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Operazioni esenti fatturate per errore, perché le sanzioni sono sproporzionate (e a rischio contrasto Ue)

L’applicazione della risoluzione 51/E genera uno svuotamento della norma primaria e un contrasto con l'ordinamento unionale

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di Anna Abagnale e Benedetto Santacroce

Nel caso in cui il cessionario/committente abbia detratto l'Iva addebitatagli per errore in fattura, in quanto trattasi di operazioni esenti o non imponibili, lo stesso sarebbe soggetto al recupero dell'imposta indebitamente detratta e alla sanzione proporzionale del 90%.

È questo, in sintesi, il contenuto della risoluzione 51/E dello scorso 3 agosto, con cui l'Amministrazione finanziaria arriva a un punto di non ritorno sull'interpretazione dell'articolo 6, comma 6 del Dlgs 471/1997.

Facendo proprio un recente orientamento giurisprudenziale - alquanto criticabile e di fatto ampiamente criticato in dottrina - la prassi richiamata circoscrive l'ambito di applicazione della norma, limitandolo irragionevolmente.

L'Amministrazione si convince, infatti, che l'articolo 6, comma 6, Dlgs 471/1997 – come modificato dall'articolo 1, comma 935, della legge di Bilancio 2018 – distingue due tipi di condotte illecite a cui sono applicabili due diverse sanzioni:

- la sanzione compresa fra 250 e 10.000 euro per il cessionario/committente in caso di applicazione dell'Iva in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, restando fermo il diritto alla detrazione;

- la sanzione del 90% dell'ammontare della detrazione illegittimamente compiuta dal cessionario/committente negli altri casi in cui l'imposta è stata assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa.

Tale distinzione troverebbe fondamento nell'espressione «In caso di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva» prevista dalla norma che, secondo l'agenzia delle Entrate, riguarda esclusivamente il caso in cui l'errore commesso dal cedente/prestatore è relativo all'applicazione di un'aliquota Iva maggiore rispetto a quella dovuta. Solo in riferimento a questa fattispecie sarebbe salvo il diritto alla detrazione mentre lo stesso non può dirsi, sempre secondo le Entrate, in riferimento alla detrazione dell'Iva erroneamente corrisposta in relazione a un'operazione non imponibile o esente.

In realtà l'Amministrazione finanziaria nel tempo ha avuto, rispetto alla norma, un approccio non coerente e contraddittorio. In particolare, dapprima, con la circolare del 13 aprile 2018, n. 114153, in commento alla allora recente modifica della norma, la Guardia di Finanza aveva ritenuto applicabile la nuova sanzione fissa, fermo restando il diritto alla detrazione, sia all'ipotesi in cui l'operazione fosse stata erroneamente fatturata con aliquota superiore a quella corretta, sia all'ipotesi in cui l'operazione fosse stata fatturata con Iva pur trattandosi di operazioni esenti o non imponibili. Successivamente, con la circolare del 25 novembre 2020, la Stessa modifica radicalmente la sua posizione considerando che la sanzione fissa di cui all'articolo 6, comma 6, Dlgs 471/1997 trova applicazione limitatamente ai casi in cui una determinata operazione imponibile sia erroneamente fatturata con aliquota superiore a quella corretta e che non è ammessa la detrazione dell'Iva erroneamente corrisposta in relazione a un'operazione non imponibile.

Il cambio di rotta è determinato dalla sentenza della Corte di Cassazione del 3 novembre 2020, n. 24289. Secondo tale pronuncia, l'Iva erroneamente corrisposta in relazione a un'operazione non imponibile non può essere portata in detrazione dal cessionario, nemmeno a seguito della modifica apportata all'articolo 6, comma 6, Dlgs 471/1997 dalla legge di Bilancio 2018. Invero, la menzionata disposizione si applica unicamente alla diversa ipotesi in cui, a seguito di un'operazione imponibile, l'Iva sia stata erroneamente corrisposta sulla base di un'aliquota maggiore rispetto a quella effettivamente dovuta.

Ebbene, anche la risoluzione di agosto fa appello alla citata sentenza per fondare la propria interpretazione restringente circa l'ambito applicativo della sanzione fissa e del mancato recupero della detrazione senza chiarire, tuttavia, le fondamenta giuridiche di tale decisione che rimane fortemente criticabile.

I punti deboli di tale orientamento ormai sono ben noti. Innanzitutto, sul piano puramente letterale, la norma parla di «applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva» e non di «applicazione dell'aliquota d'imposta in misura superiore a quella effettiva», così da lasciare intendere che l'ambito applicativo non sia riducibile all'errata individuazione dell'aliquota più alta rispetto a quella dovuta, ma sia comprensivo di tutti i casi in cui l'imposta addebitata in fattura e assolta sia maggiore rispetto a quella dovuta, anche laddove quest'ultima sia pari a zero (come per le operazioni non imponibili ed esenti).

In secondo luogo, lo stesso articolo 6, al comma 9-bis3, contempla una fattispecie analoga a quella qui considerata. Trattasi dell'errata applicazione del reverse charge per le operazioni non soggette, non imponibili o esenti da Iva. In tali casi, la norma non prevede il recupero della detrazione, ma solo l'espunzione del debito e del credito nella liquidazione Iva di riferimento garantendo di fatto la neutralità dell'imposta. Siccome l'assolvimento e la detrazione dell'Iva secondo il meccanismo del reverse charge è del tutto assimilabile al versamento e alla detrazione dell'imposta secondo le modalità ordinarie, vi sarebbe un'evidente disparità di trattamento in termini sanzionatori se due condotte irregolari simili – quali, per esempio, la detrazione dell'Iva in riferimento a un'operazione non imponibile e l'applicazione del reverse charge a un'operazione non imponibile – fossero colpite da sanzioni completamente diverse.

Da ultimo, non si trascuri che, affinché una sanzione sia legittima sul piano unionale, è necessario che rispetti il principio di proporzionalità alla luce del quale le sanzioni previste dagli ordinamenti nazionali non devono eccedere quanto necessario al fine di garantire l'esatta riscossione dell'imposta e di evitare la frode. Di recente, la Corte di Giustizia ha anche chiarito che sarebbe incompatibile con l'articolo 273 Direttiva 2006/112/CE un sistema sanzionatorio automatico che si applichi indifferentemente a una situazione in cui l'Iva indebitamente applicata deriva da un errore che non ha comportato danni all'erario, in assenza di frode, e in altri casi in cui non ricorrono tali circostanze (sentenza C-935/19).

Ebbene, non può dirsi di certo proporzionata la sanzione pari al 90% dell'imposta con recupero del diritto alla detrazione irrogata al cessionario/committente per aver detratto l'Iva (che dall'altro lato il cedente/prestare ha assolto), credendo erroneamente che l'operazione fosse soggetta a imposta quando invece trattavasi di operazione non imponibile, laddove non vi sia frode né danno per l'erario.

Alla luce di tali criticità è evidente che l'orientamento dei giudici di legittimità non può trovare conferma, neppure se supportato espressamente dell'agenzia delle Entrate con la risoluzione 51/E. Sembrerebbe che quest'ultima abbia completamente trascurato tali elementi che, invece, cominciano a far presa su qualche corte di merito.

Al riguardo si segnala la Ctr della Lombardia, sentenza 2270/1/2021 la quale, in riferimento a un'operazione esente erroneamente assoggettata a Iva, applica alla fattispecie la sola sanzione in misura fissa prevista dall'articolo 6, comma 6, Dlgs 471/1997, che opera nei termini delineati dalla sentenza della Corte di Giustizia richiamata.

Probabilmente la posizione dell'agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza dovrà essere ulteriormente rimeditata per evitare che la sua applicazione generi, in termini effettivi, uno svuotamento della norma primaria, in termini giuridici, un contrasto con l'ordinamento unionale e, in termini pratici, lasci i contribuenti che hanno applicato un regime Iva non corretto in balia di sanzioni sproporzionate e di un percorso complesso per recuperare un'Iva erroneamente applicata e contestualmente versata allo Stato.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.
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