Controlli e liti

Paradisi fiscali, la Turchia resta nella lista «grigia»

Ecofin, aggiornata la lista dei paesi poco collaborativi

(Adobe Stock)

di Beda Romano

I ministri delle Finanze europei hanno aggiornato ieri la lista dei paesi che ritengono non cooperino nella lotta contro l’evasione fiscale. Dopo un accesa trattativa diplomatica tra i Ventisette, la Turchia è stata oggetto di un nuovo compromesso e inserita nella lista grigia la quale raccoglie le giurisdizioni che si stanno adattando alle nuove regole, ma in modo troppo incerto o troppo lento. Nella lista nera, i paesi in netta violazione delle regole internazionali sono ormai dodici.

Il governo turco ha negoziato con i paesi europei accordi che prevedono lo scambio di informazioni in campo finanziario e fiscale. Per questo motivo, la Commissione europea aveva proposto ai paesi membri di escluderlo dalle due liste. La proposta è stata oggetto di un acceso dibattito tra i Ventisette. Molti paesi membri si sono detti contrari per almeno due motivi. Il primo è che la Turchia non ha un accordo con Cipro, paese membro che Ankara non riconosce.

Il secondo motivo è che – per «l’elevatissima quantità di dati» si legge in una comunicazione riservata della Commissione europea – il governo turco ha deciso per ora di non applicare l’accordo con cinque paesi membri nei quali vi è una nutrita comunità turca: la Germania, la Francia, l’Olanda, il Belgio e l’Austria. Evidentemente, nonostante una emigrazione che risale spesso agli anni Cinquanta o Sessanta, i turchi residenti in Europa continuano ad avere stretti rapporti finanziari con la madrepatria.

Secondo le informazioni raccolte qui a Bruxelles, alcuni paesi hanno chiesto che la Turchia fosse inserita nella lista nera. Il compromesso tra i Ventisette è stato di lasciarla nella lista grigia. La questione è delicata.

La Commissione non ha guardato solo al ruolo strategico della Turchia nel frenare l’arrivo di migranti dal Vicino Oriente, ma anche al fatto che l’inserimento di Ankara nella lista nera avrebbe messo a rischio i finanziamenti della Banca europea per gli investimenti nel paese.

L’imbarazzante vicenda mette in luce le difficoltà europee a stilare una lista dei paradisi fiscali che sia credibile e convincente. Oxfam ne ha approfittato per criticare nuovamente i Ventisette. Secondo l’organizzazione non governativa, l’esercizio è fallace perché esclude dalle liste i paesi membri quali il Lussemburgo o Malta, che dovrebbero essere inseriti, e anche partner quali la Svizzera o gli Stati Uniti, che dovrebbero essere considerati anche loro paradisi fiscali.

Oltre alla Turchia, a cui è stato dato tempo fino alla fine del 2020 per rispettare le regole internazionali, fanno parte della lista grigia Anguilla, il Botswana, Santa Lucia (isola dei Caraibi), l’Australia, il Marocco, la Bosnia Erzegovina, la Namibia, la Giordania, Eswatini (l’ex regno di Swaziland), le isole Maldive, la Mongolia e la Thailandia.

Nella lista nera sono stati aggiunti quattro nuovi paesi: le isole Cayman, Palau, Panama e le isole Seychelles, che si aggiungono alle Samoa americane, le isole Fiji, le isole Vergini, Guam, Oman, Samoa, Trinidad & Tobago e Vanuatu.

L’ingresso nella lista nera delle Isole Cayman, territorio d’oltremare britannico, ha provocato la reazione di Markus Ferber, eurodeputato popolare tedesco: «Si tratta di un segnale chiaro lanciato alla Gran Bretagna: l’idea di trasformare il Regno Unito in un paradiso fiscale non sarebbe accettabile agli occhi dell’Unione europea». Lo sguardo corre alle prossime trattative in vista di un accordo di partenariato che dovrà gestire il rapporto tra Bruxelles e Londra.

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