Partecipazioni qualificate a rischio Ue
Il disegno di legge di Bilancio 2018 prevede un consistente aggravio della tassazione applicabile alle plusvalenze realizzate dalle società non residenti su partecipazioni qualificate in società italiane.
La tassazione di questi proventi viene infatti uniformata a quella prevista per le partecipazioni non qualificate dato che, dal 1° gennaio 2019, si applicherà una imposta sostitutiva del 26% sull’ammontare della plusvalenza realizzata in luogo della attuale minore tassazione (11,93% e, dal 2018, 13,95%).
Come noto, le società non residenti sono assoggettate alle imposte sui redditi in Italia limitatamente ai redditi ivi prodotti (principio di territorialità). In particolare, l’articolo 151, comma 3, del Tuir dispone che i redditi prodotti in Italia da società non residenti vengano determinati secondo le disposizioni del Titolo I del Tuir.
Essi, pertanto, sono tassati su base isolata, secondo la disciplina della tassazione delle persone fisiche, con la sola eccezione del reddito prodotto dalle stabili organizzazioni in Italia, a cui si applica la disciplina delle società residenti.
Le plusvalenze qualificate realizzate da società non residenti, salvo diversa disposizione convenzionale, sono quindi tassate in base ai criteri dell’articolo 67 del Tuir in maniera speculare alla tassazione delle persone fisiche.
Così, tali plusvalenze attualmente concorrono alla base imponibile limitatamente al 49,72% (58,14% dal 2018) del loro ammontare e vengono assoggettate ad Ires con aliquota del 24%, corrispondente ad una imposizione effettiva dell’11,93% (13,95% dal 2018), misura già sensibilmente superiore a quella della società residente che realizzi analoga plusvalenza in regime Pex (1,2%).
Dal 1° gennaio 2019, come detto, tali plusvalenze saranno invece soggette ad una imposta sostitutiva del 26% al pari di quelle non qualificate, con un conseguente sensibile aggravio del carico impositivo in tutte quelle ipotesi in cui non risulti applicabile il regime di non imponibilità previsto dalle convenzioni contro le doppie imposizioni. Ciò può verificarsi, ad esempio, ove la società estera risieda in uno Stato “non convenzionato” o a causa di particolari clausole limitative dei benefici convenzionali.
Ad esempio, la convenzione con la Francia (si vedano anche quelle con Cina, Israele e Brasile) stabilisce l’imponibilità anche in Italia delle plusvalenze realizzate da un residente francese derivanti dall’alienazione di partecipazioni nel capitale di una società italiana che danno diritto ad almeno il 25% degli utili societari (si veda il punto 8b dell’annesso Protocollo).
Risulta quindi evidente come la nuova normativa domestica amplifichi la già sussistente violazione del principio di libertà di stabilimento e del principio di libera circolazione dei capitali (articoli 47 e 63 del Tfue): non è infatti consentito trattare differentemente una società nazionale rispetto ad una comunitaria.
Così come già avvenuto per i dividendi in uscita, anche per queste fattispecie, almeno in ambito comunitario, andrebbe quindi prevista l’applicazione di una imposta sostitutiva dell’1,2% (al pari del regime Pex domestico), anche in considerazione del fatto che la legge di Bilancio 2018 non estende alle partecipazioni qualificate gli attuali regimi di non imponibilità riservati alla cessione, da parte di soggetti non residenti, di partecipazioni non qualificate (articolo 23 del Tuir e articolo 5 del Dlgs 461/1997).