I temi di NT+Modulo 24

Partecipazioni sotto soglia in società consortili o coop precludono il regime di realizzo controllato

Con la risposta 451/2022, l’Agenzia esclude che le partecipazioni, anche se infinitesimali, detenute in società consortili o cooperative consentano l’accesso al regime di realizzo controllato

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di Leo De Rosa e Alberto Russo

Con la risposta ad interpello, 9 settembre 2022, n. 451, l’agenzia delle Entrate esclude che le partecipazioni sotto soglia detenute in società consortili o cooperative consentano l’accesso al regime “di realizzo controllato” nel caso di conferimento di partecipazioni qualificate non di controllo, ai sensi dell’articolo 177, comma 2-bis, del Dpr 917/1986.

Il caso trattato attiene alla riorganizzazione di un gruppo tesa a costituire due holding di famiglia, ciascuna partecipata da un nucleo familiare, nelle quali far confluire le partecipazioni detenute da una holding comune, mediante un’operazione di conferimento ex articolo 177, comma 2-bis, del Dpr 917/1986.

In particolare, gli istanti rappresentano che vi sono partecipazioni irrisorie sotto soglia detenute in consorzi, società consortili e società cooperative. Chiedono pertanto se queste partecipazioni debbano o meno essere prese in considerazione per vagliare il soddisfacimento delle percentuali previste dalla norma in esame (in termini di diritto di voto o di partecipazione al capitale o al patrimonio), a seguito della “demoltiplicazione” richiesta.

L’esclusione da detto calcolo proposta dagli istanti si basa sulla circostanza che i consorzi, al pari delle società consortili e di quelle cooperative, sono per loro natura ben lontani dalla finalità lucrativa che contraddistingue le società vere e proprie e sono viceversa accomunati tra loro dalla finalità mutualistica, dalla circostanza che non producono redditi, che non maturano plusvalenze e che consentono generalmente la circolazione delle partecipazioni al loro valore nominale.

L’agenzia delle Entrate valorizza la littera legis in maniera molto stringente (“società interamente partecipate”), e, ai fini dell’integrazione della soglia prevista dalla legge, valuta come irrilevanti le sole partecipazioni nei consorzi, trattandosi di soggetti diversi da quelli che hanno “una forma giuridica di società”. Reputa, invece, che siano da considerare le partecipazioni in società consortili e cooperative, per le quali «rileva la loro veste giuridica di società».

Ad avviso di chi scrive questa soluzione non può essere condivisa, anche tenendo conto della disciplina dettata per i consorzi, per le società consortili e per quelle cooperative.

Il consorzio (volontario) è disciplinato dall’articolo 2602 del Codice civile e rappresenta il contratto mediante il quale «più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”. Mediante la costituzione di un consorzio gli imprenditori consorziati, attraverso l’organizzazione comune, favoriscono quindi le loro economie, senza che l’utilità dei consorziati debba derivare necessariamente dal profitto della società partecipata e dalla distribuzione di esso sotto forma di dividendi (cosiddetto scopo consortile).

Ai sensi dell’articolo 2615-ter del Codice civile, la società consortile, pur a fronte di una veste societaria, si caratterizza per la peculiarità dello scopo sociale che consente alla stessa di perseguire le finalità caratteristiche dei consorzi. In buona sostanza, quindi, la società consortile e il consorzio sono accomunate dal medesimo scopo.

La società cooperativa di cui all’articolo 2511 del Codice civile presta servizio in favore dei soci ed attribuisce ad essi vantaggi da conseguire attraverso la diretta partecipazione all’attività economica collettiva gestita dalla società (cosiddetto scopo mutualistico). Anche la società cooperativa può costituirsi in forma consortile al fine di realizzare lo scopo mutualistico che la contraddistingue.

Da questi brevissimi cenni emerge in maniera incontrovertibile che il consorzio, la società consortile e la società cooperativa si differenziano rispetto alle società di cui all’articolo 2247 del Codice civile con le quali non condividono lo scopo di lucro, ossia lo scopo che i soci dividano tra loro gli utili derivanti dalla loro attività economica.

Come chiarito da parte dell’agenzia delle Entrate con riferimento ad altri aspetti, i consorzi si caratterizzano per «la condizione di neutralità economica…», che interessa «anche le società consortili, laddove la causa del contratto societario è in ogni caso diversa dal conseguimento del lucro e deriva sostanzialmente dalla mera necessità organizzativa, di miglioramento dell’utilizzo delle risorse appartenenti a più imprenditori» (si vedano la risposta dell’agenzia delle Entrate, 12 giugno 2019, n. 188; nello stesso senso, circolare del ministero delle Finanze, 6 aprile 1988, n. 10 e risoluzione dell’agenzia delle Entrate 15 marzo 2007, n. 52).

È proprio questa la circostanza che avrebbe dovuto consentire all’agenzia delle Entrate di superare la forma (veste societaria) e andare alla sostanza (assenza di scopo di lucro), convenendo quindi con gli istanti sull’irrilevanza delle partecipazioni “sotto soglia” detenute non solo nei consorzi, ma anche nelle società consortili e in quelle cooperative.

Ciò anche per evitare un’indiscriminata penalizzazione della maggior parte dei soggetti industriali che, come evidenziato dagli stessi istanti, sono spesso tenuti per ragioni di operatività a possedere partecipazioni per lo più infinitesimali in detti soggetti.

Invero, una partecipazione infinitesimale non può compromettere l’accesso a un regime qual è quello «di realizzo controllato», che ha lo scopo, come la stessa agenzia delle Entrate riconosce, di «favorire operazioni di riorganizzazione o ricambio generazionale in fattispecie che resterebbero altrimenti escluse per la insufficiente misura della partecipazione detenuta».

Sarebbe quindi auspicabile che l’Agenzia ritornasse sui suoi passi.


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