Controlli e liti

Penalizzati i pochi contribuenti che pagano

Una possibile soluzione potrebbe passare dalla fiscalizzazione dei costi

di Luigi Lovecchio

Il sistema di remunerazione ad aggio del servizio pubblico di riscossione determina degli squilibri inaccettabili, a tutto danno dei pochi debitori solventi. Per questo motivo, il legislatore deve provvedere con urgenza a una riforma di comparto, scegliendo tra le varie opzioni disponibili.

Pur concludendo per l'inammissibilità della questione sollevata, in quanto mirante ad una pronuncia sostanzialmente sostitutiva della normativa vigente, la sentenza 120 della Consulta, depositata il 10 giugno, contiene un avvertimento inequivoco rivolto al legislatore. Avvertimento tanto più tempestivo, se solo si pensa alla revisione delle quote inesigibili annunciata nell’articolo 4, del decreto legge 41/2021.

La pronuncia ha preso le mosse da una ordinanza della Ctp di Venezia che ha evidenziato i molteplici vizi dell’attuale criterio di applicazione dell'aggio in misura percentuale sulle somme riscosse. Lamentano in particolare i giudici rimettenti il fatto che tale componente non abbia alcuna corrispondenza con il costo del servizio svolto da agenzia delle Entrate – Riscossione e risulti quindi di complessa, se non impossibile, giustificazione sotto il profilo costituzionale.

Il punto critico dell’ordinanza è tuttavia costituito dalla circostanza che la stessa conclude chiedendo alla Consulta di stabilire quantomeno dei limiti massimi all’entità dell’aggio, così nei fatti invocando una riforma di sistema in assenza di precisi parametri sia normativi che giurisprudenziali.

Ciò ha pertanto indotto la Corte costituzionale a dichiarare l’inammissibilità della questione, proponendo nel contempo alcune importanti censure dell’attuale meccanismo di legge. La decisione ricorda al riguardo come l’aggio abbia la funzione di remunerare il costo delle insolvenze che il sistema pubblico di riscossione deve gestire nell'attività di recupero. In sostanza, attraverso l’addebito di tale quota, lo Stato recupera le spese relative ai soggetti che si rendono del tutto inadempienti, attraverso le procedure delle quote inesigibili. Il problema è però, avverte il giudice delle leggi, che nella situazione attuale, come segnalato da ultimo anche dalle sezioni riunite della Corte dei conti, l’indice di riscossione delle somme affidate è pari al 13,3 per cento. Questo determina un incremento progressivo del magazzino dei ruoli in gestione all’agente della riscossione che ha raggiunto la cifra iperbolica di circa 1.000 miliardi di euro, di cui la stragrande maggioranza è certamente inesigibile.

Tutto ciò genera costi sempre maggiori e spropositati, rispetto all’effettiva utilità prodotta dal sistema, che vanno a gravare, alla fine, sui pochi soggetti che si rendono adempienti rispetto alle pretese del riscossore. La Consulta stigmatizza pertanto l’arbitrarietà del sistema attuale che penalizza irragionevolmente una minoranza di soggetti a causa delle spese conseguenti all’inefficienza del sistema pubblico.

Da qui, l’invito pressante a riformare con urgenza il settore della riscossione. La scelta della modalità con cui ciò deve avvenire rientra indubbiamente nella sfera di discrezionalità del legislatore, tenendo conto del fatto che il comparto è oramai in mano pubblica. Viene al riguardo ricordato come in molti Paesi europei la funzione in esame viene finanziata con la fiscalità generale. Tra le soluzioni possibili, oltre a quella della fiscalizzazione, accompagnata ad esempio dall’addebito delle sole spese vive (notifica e pignoramenti), si evoca altresì un sistema misto, in cui viene applicato un aggio debitamente “proporzionato”. La conclusione è tuttavia netta, nel senso della inaccettabilità dell'attuale assetto normativo.

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