Imposte

Per i benefici su ricerca e sviluppo necessari rischio, innovazione e trasferibilità

immagine non disponibile

di Cristiano Margheri e Niccolò Puosi

Alcuni punti fermi: impossibilità di utilizzare tecnologie già disponibili, no alle modifiche ordinarie a prodotti e linee di produzione, sì alla presenza di un rischio finanziario e tecnico. Ma anche molti passaggi ancora da chiarire. Il Piano nazionale Industria 4.0 contiene importanti misure dirette a stimolare la spesa privata in ricerca e sviluppo, per innovare processi e prodotti e garantire la competitività futura delle nostre imprese. La fruizione di questi benefici passa, tuttavia, dall’individuazione delle attività inquadrabili come ricerca e sviluppo, secondo la concezione adottata dal legislatore nazionale. Attività sulle quali le interpretazioni si susseguono in maniera continua.

Il concetto di R&S recepito nel nostro ordinamento ricalca sostanzialmente le definizioni di «ricerca fondamentale», «ricerca applicata» e «sviluppo sperimentale», già identificate a livello europeo e contenute nella Comunicazione della Commissione europea 2014/C 198/01 del 27 giugno 2014 («Disciplina degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione»).

Queste definizioni risultano, a loro volta, mutuate da quelle adottate a livello internazionale in ambito Ocse ed espressamente richiamate all’interno del cosiddetto «Manuale di Frascati»: Guidelines for collecting and reporting data on research and experimental development. Questo manuale, che costituisce la principale fonte interpretativa di riferimento in questo ambito, specifica come un progetto di R&S debba mirare all’obiettivo di ricercare nuovi concetti o idee finalizzati al miglioramento dello stato attuale della conoscenza.

In particolare, per la qualificazione di un’attività come ricerca e sviluppo, è necessario rifarsi a cinque criteri: l’aspetto innovativo, la creatività, la non predeterminabilità dei risultati e la loro sistematicità, trasferibilità e/o riproducibilità. Quindi, ogni nuovo modo di risolvere un problema, sviluppato nell’ambito di un progetto, può essere riconosciuto come R&S, purché il risultato ottenuto sia originale e in grado di soddisfare tutti i criteri in questione.

Ne deriva, allora, che risultano escluse tutte quelle modifiche di carattere routinario apportate ai prodotti e alle procedure già esistenti. In questa prospettiva, un ruolo determinante è quindi assunto dai requisiti della novità e dell’innovazione, che devono necessariamente sussistere per una corretta qualificazione dell’attività come ricerca e sviluppo. In altri termini, la ricerca costituisce il processo che porta alla creazione di nuove conoscenze per l’azienda, mentre l’innovazione è la capacità di trasformare la conoscenza in prodotti o servizi innovativi.

Le definizioni adottate a livello internazionale, e come visto riprese dal legislatore nazionale, sono state oggetto di precisazione anche in vari documenti di prassi, con riferimento all’ambito oggettivo di applicazione del credito d’imposta R&S. In particolare, la circolare 5/E del 16 marzo 2016, riprendendo proprio i concetti di novità e innovazione rinvenibili a livello internazionale, ha specificato che le attività di ricerca e sviluppo sono volte all’acquisizione di nuove conoscenze, all’accrescimento di quelle esistenti ed all’utilizzo di queste per nuove applicazioni.

Viene ribadito, quindi, anche a livello nazionale, che non costituiscono attività di R&S le modifiche ordinarie o periodiche apportate a prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione, servizi esistenti ed altre operazioni in corso, anche quando tali modifiche rappresentino miglioramenti. Queste ultime considerazioni sono state ulteriormente puntualizzate nella recente risoluzione 46/E del 22 giugno 2018, in cui l’amministrazione finanziaria, sulla base di un parere tecnico del ministero dello Sviluppo economico, ha richiamato i requisiti della novità, del rischio finanziario e dell’insuccesso tecnico, tutti elementi che devono necessariamente caratterizzare gli investimenti agevolabili.

Sempre sul punto, la stessa risoluzione ha anche specificato che la trasformazione tecnologica e la digitalizzazione dei processi produttivi, secondo il paradigma Industria 4.0, non possono essere realizzate mediante l’utilizzo di tecnologie già disponibili e ampiamente diffuse nei vari settori economici. La complessità della materia e i numerosi dubbi interpretativi che ancora sussistono, richiederebbero tuttavia ulteriori chiarimenti da parte degli organi competenti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©