Controlli e liti

Per difendersi dalla rivalsa del Fisco il primo passo è l’analisi delle prove

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di Rosanna Acierno

Nel caso in cui l’amministrazione finanziaria intenda recuperare dal fornitore l’Iva non addebitata in fattura al finto esportatore abituale, al fine di approntare la migliore strategia è opportuno innanzitutto valutare i fatti e le prove a disposizione volte a dimostrare non solo la buona fede, ma anche l’adozione di un comportamento prudente e diligente. In particolare, qualora ci si renda conto che il fornitore non disponga di prove inconfutabili atte a dimostrare la sua buona fede e, in particolare, l’adozione di un comportamento diligente e prudente, come nel caso in cui, ad esempio, i pagamenti della merce venduta sono stati effettuati da soggetti terzi e non dal finto esportatore, allora potrebbe essere opportuno tentare di raggiungere un accordo, prima o anche dopo la emissione dell’atto impositivo, attraverso l’accertamento con adesione (articolo 6 Dlgs 218/97) e beneficiando altresì della riduzione delle sanzioni a 1/3. In tal caso, attraverso una apposita memoria si potrebbe, ad esempio, chiedere ai verificatori/accertatori di calcolare l’Iva dovuta sui prezzi (senza ricarico) di acquisto anziché su quelli (maggiori) di vendita, individuando le fatture degli ultimi approvvigionamenti in ordine di tempo, aventi come oggetto le medesime merci poi cedute al finto esportatore abituale senza Iva.

Nel caso, invece, di prove inconfutabili che possano attestare con assoluta certezza la diligenza e la prudenza adottati dal fornitore, o anche in caso di mancato accordo, sarà sempre possibile impugnare l’atto impositivo dinanzi al Giudice tributario, dimostrando, in via preliminare, mediante prove documentali la buona fede del fornitore che ha effettuato le cessioni in sospensione di imposta a fronte della presentazione da parte del cessionario di dichiarazioni di intento false, e la sua totale estraneità all’asserita frode.

Inoltre, sarà comunque importante far rilevare l’assenza assoluta di eventuali vantaggi conseguiti attraverso la dimostrazione che le cessioni sono avvenute a prezzi di mercato, con la conseguenza che l’Ufficio accertatore, come avviene generalmente in caso di frodi Iva, anziché recuperare l’Iva a debito in capo al fornitore, avrebbe dovuto recuperare l’Iva a credito in capo ai clienti del cessionario in quanto unici soggetti ad aver, di fatto, conseguito un vantaggio di tipo economico-finanziario, avendo presumibilmente pagato le merci acquistate dal finto esportatore a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato (a fronte del mancato versamento dell’Iva a debito da parte del medesimo cessionario).

Va rilevato, infine, che il fornitore potrà sempre tentare di rivalersi sul finto esportatore abituale chiamandolo a rispondere, civilisticamente, del danno subito, anche alla luce della sentenza 22549/2018 con cui la Cassazione ha statuito che risponde per danni ai sensi dell’articolo 2043 del Codice civile la parte che abbia indotto l’altra, con dolo o colpa grave, a emettere fatture di vendita senza Iva.

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