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Perdite nella fusione, slalom tra i limiti alla compensazione

La Cassazione accoglie le ragioni delle Entrate sul disconoscimento del diritto alla compensazione delle perdite della società incorporata per l’assenza delle condizioni previste dalla norma

di Leo De Rosa e Alberto Russo

La sentenza 1035/2023 della Cassazione si è espressa in merito alla disciplina della compensazione delle perdite nell’ambito di un’operazione di fusione per incorporazione tra due società (ex articolo 172, comma 7, del Tuir).

La fattispecie concreta su cui si è pronunciata la Suprema corte ha per oggetto un avviso di accertamento con il quale l’agenzia delle Entrate ha rideterminato l’imponibile della società Alfa srl, richiedendo maggiori tributi a titolo di Ires e relative sanzioni.

L’atto impositivo, emesso all’esito di una verifica, trovava origine dalla compensazione delle perdite di Beta da parte di Alfa Srl, a seguito dell’operazione di fusione per incorporazione tra le due società (ex articolo 172, comma 7, del Tuir).

L’Amministrazione finanziaria, infatti, ha contestato alla società la compensazione delle perdite, ritenendo che nella fattispecie mancassero i presupposti ed i requisiti prescritti dalla normativa, sostenendo:

• la mancanza dei requisiti di «vitalità» della società incorporata, non riscontrandosi un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente e relativi contributi superiore al 40% rispetto alla media dei due periodi di imposta immediatamente precedenti, circostanza conseguente all’esternalizzazione di alcune funzioni da parte della società;

• il superamento del «limite del patrimonio» netto delle perdite compensate, che sarebbe stato calcolato dalla società con un «diverso metodo» rispetto a quello previsto dalla normativa in oggetto.

Nell’accogliere entrambe le eccezioni sollevate dall’Amministrazione finanziaria, la Suprema corte definisce alcuni importanti principi in merito alla disciplina prevista dall’articolo 172, comma 7, del Tuir.

Quanto al mancato superamento dell’«activity test», per l’assenza di un congruo ammontare di spese e prestazioni di lavoro dipendente e relativi contributi, i giudici di legittimità, interpretando letteralmente l’articolo 172, comma 7, del Tuir, hanno evidenziato come tale disposizione non lasci spazio a libere interpretazioni atteso che la norma «fa espresso richiamo alle spese per prestazioni di lavoro subordinato e ai "relativi" contributi, di cui all’articolo 2425 del Codice civile» e che «quest’ultima norma esplicitamente indentifica tra i costi della produzione quelli per il personale e nello specifico i salari e stipendi (B9a) e gli oneri sociali (B9b)», risultando evidente come «l’articolo 2425 del Codice civile non lascia margine alla equiparazione tra i costi per il personale subordinato ed i costi del personale esternalizzato, di cui non risulterebbe neppure distinguibile la spesa per i contributi».Sul punto a nulla è valsa la difesa del contribuente, che ha evidenziato come la società, per dare seguito alle proprie scelte strategico-aziendali aveva scelto di avvalersi di forza lavoro mediante la strategia dell’esternalizzazione (outsourcing), non rappresentando tale scelta un indice di depotenziamento della società, come inteso dalla ratio dell’articolo 172, comma 7, del Tuir.

Inoltre, la Suprema corte non ha dato alcun rilievo al fatto che in altre fattispecie (società holding e società veicolo nelle operazioni di Mlbo), caratterizzate dall’assenza di costi per il personale, la stessa Amministrazione finanziaria ha riconosciuto il "superamento" dell’«activity test» anche in assenza di costi per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi.

In merito al mancato superamento del «test del patrimonio netto», dal testo della sentenza emerge come la questione verta sul «diverso metodo di calcolo» utilizzato dal contribuente ai fini dell’individuazione del patrimonio netto, quale limite per la compensazione delle perdite.

Sul punto, per meglio comprendere le conclusioni della Suprema corte occorre preliminarmente evidenziare come a monte della fusione, il cui progetto è stato depositato il 30 luglio del 2010, la società Beta:

• aveva ricevuto circa 10 milioni di versamenti sino al marzo 2008;

• aveva approvato l’ultimo bilancio in data 31 dicembre 2009 (quindi oltre il termine dei sei mesi previsti dall’articolo 2501- quater del Codice civile);

• aveva redatto una situazione patrimoniale aggiornata al 30 giugno 2010 (all’epoca non risultava ancora possibile rinunciare alla situazione infrannuale).

Ciò detto, la società aveva individuato quale patrimonio netto più basso quello della situazione patrimoniale aggiornata al 30 giugno 2010, effettuando la comparazione con il bilancio chiuso al 31 dicembre del 2009, senza previamente scomputare i versamenti ricevuti sino a marzo 2008, in quanto effettuati oltre i 24 mesi anteriori al 30 giugno 2010 (data della situazione patrimoniale aggiornata «rispetto al bilancio chiuso al 31 dicembre del 2009»).

Diversamente, avallando la tesi dell’agenzia delle Entrate, la Corte ritiene che tale «modalità di calcolo» non sia conforme al disposto dell’articolo 172, comma 7 del Tuir, il quale testualmente prevede che «le perdite (…) possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l’ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all’articolo 2501-quater del Codice civile, senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa».

Secondo la Cassazione, dunque, «il patrimonio netto inferiore va individuato tra quello dell’ultimo bilancio di esercizio e quello risultante dalla situazione patrimoniale aggiornata previa rettifica in diminuzione dei conferimenti e versamenti eventualmente eseguiti nel biennio precedente alla data cui detto patrimonio si riferisce», non comprendendo perché «un elemento di raffronto unitario ben preciso, situazione patrimoniale al netto dei conferimenti e versamenti infra biennali, debba essere scomposto e poi ricomposto», come fatto dalla società.

Sul punto i giudici, richiamando la ratio antielusiva della disposizione aggiungono, inoltre, che «se la norma è stata concepita a prevenzione da condotte abusive in occasione dell’uso di uno strumento di organizzazione societaria, quale la fusione, scomporre i due elementi di cui si compone la situazione patrimoniale richiamata nell’articolo 172 - stato patrimoniale al netto di determinati dati positivi - ne implicherebbe una lettura irrazionale. L’esclusione dei conferimenti e versamenti infra biennali a valle e non a monte del raffronto tra due situazioni patrimoniali, lascerebbe maggiori margini di libertà al contribuente, cui è già rimessa la determinazione del lasso temporale tra chiusura del bilancio e tempi di deposito del progetto di fusione - e dunque la necessità o meno di redigere una situazione patrimoniale aggiornata -, di operare scelte incidenti sulla detrazione o meno di quei conferimenti e versamenti (allungando per esempio i tempi di redazione della situazione patrimoniale ex articolo 2501-quater e pertanto determinando l’ultrabiennalità e l’indetraibilità di quei componenti), così offrendo spazi di manovra per aggirare le concrete modalità di applicazione della norma».

Ciò posto, secondo la Suprema corte, nessun dubbio può sollevare neppure la formulazione letterale della norma nella quale «il richiamo alle situazioni patrimoniali, quella risultante dall’ultimo bilancio e quella eventuale, emergente dalla situazione aggiornata, precede, ma senza alcuna cesura, il richiamo ai conferimenti al netto dei quali le due situazioni patrimoniali vanno confrontate».

Infine, la Corte, nel rigettare il ricorso presentato dal contribuente, ricorda come lo stesso avrebbe potuto comunque intraprendere preventivamente un’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria, mediante la presentazione di un’istanza di interpello (disapplicativo) finalizzato a chiarire gli aspetti più critici dell’operazione e a meglio ponderare le conseguenze della propria scelta.

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