Imposte

Persone fisiche fuori dall’Irap: spinta a far da sé e meno liti

Tributo via per autonomi, ditte individuali e imprese familiari, continuano a pagare studi associati e società di persone al di là dei ricavi

di Giorgio Gavelli

Il nuovo anno – grazie alla legge di Bilancio votata al Senato – porta con sé la tanto attesa esclusione dall’Irap per le persone fisiche (sia nell’esercizio dell’impresa sia in quello della professione o dell’arte). Secondo le stime della relazione tecnica, l’esclusione dovrebbe riguardare 1,3 milioni di soggetti passivi, dei quali 835mila concretamente versavano il tributo. Questi ultimi a giugno 2022 si limiteranno a “chiudere i conti” con il saldo relativo al 2021, astenendosi dall’acconto per il periodo successivo.
L’effetto sui contenziosi

L’esonero riguarda gli imprenditori individuali e i professionisti/artisti non associati, che non hanno scelto i regimi forfettario e di vantaggio (vecchi minimi) e per i quali ricorrono i requisiti dell’autonoma organizzazione, concetto che si è andato consolidando nel tempo grazie alle sentenze della Cassazione. Il riferimento è, quindi, a quelle figure che – pur esercitando l’attività in autonomia – per il numero o le mansioni rivestite dai dipendenti e collaboratori, o per altre caratteristiche organizzative, non rientrano già negli esoneri individuati dalla giurisprudenza.
In molti casi, tra i contribuenti che si avvantaggeranno della nuova esclusione troviamo quelle situazioni di confine su cui più spesso gravava l’incertezza sulla soggettività passiva. Si pensi ad esempio alle imprese familiari, che – ricordiamolo – sono imprese individuali e, quindi, “persone fisiche” esercenti impresa nel linguaggio della legge di Bilancio. Ma si possono fare anche i casi delle aziende personali e dei professionisti con alcuni dipendenti (non meramente esecutivi) e/o con rilevante capitale investito.
Da queste considerazioni emergono due osservazioni di fondo.
1.
La prima riguarda il venir meno delle ragioni del contenzioso, che è ancora abbastanza ampio, soprattutto per la latitanza del legislatore e la difficoltà delle Entrate di dotarsi di parametri oggettivi per distinguere tra chi è (era) chiamato a versare il tributo regionale e chi no. La chiara decorrenza della nuova esclusione – periodo d’imposta 2022 – non può risolvere i conflitti già in corso, generati per lo più dalle richieste di rimborso di chi, nel dubbio, aveva pagato per poi rivolgersi al giudice tributario. Comunque, è innegabile che una certa influenza di giudizio la nuova norma dovrebbe portarla con sé.
2.
La seconda osservazione attiene alla ragionevolezza della distinzione operata tra i contribuenti, ovviamente in attesa che le risorse disponibili consentano di giungere al «graduale superamento» del tributo regionale (come recita l’articolo 6 dello schema di delega per la riforma fiscale).
Certamente il criterio adottato non si presenta di difficile applicazione, e questo è un pregio in un sistema che si caratterizza ancora per troppe complessità intrinseche. Inoltre, “premia” tendenzialmente soggetti che già da tempo avrebbero dovuto abbandonare l’Irap. Tuttavia, non mancheranno situazioni di piccoli studi associati o società di persone la cui attività è basata esclusivamente o quasi sul lavoro dei soci/associati, e che continueranno a versare il tributo diversamente da imprese individuali o studi professionali non collettivi che si sono strutturati con decine di dipendenti o collaborazioni di alto livello (associazioni in partecipazione, reti, eccetera).
Un disincentivo ad aggregarsi

Peraltro, una discriminazione basata solamente sulla titolarità individuale scelta per l’esercizio dell’attività è in netta controtendenza con le necessità sempre più avvertite – tanto nel mondo delle imprese quanto (e forse ancora di più) nel mondo professionale – di associarsi e “unire le forze” per rispondere alle sfide del mercato, a dispetto dei principi inseriti nella legge delega di riforma. E questo in un panorama normativo che – è giusto sottolinearlo – soprattutto per i lavoratori autonomi favorisce chi “fa da solo”, basti pensare al regime forfettario o al controverso regime fiscale delle forme di unione tra studi professionali già avviati e delle società tra professionisti.
La spinta al “nanismo” è, quindi, il difetto maggiore della scelta operata con la legge di Bilancio 2022. Una scelta che non può essere che provvisoria e di breve durata, anche perché risulta molto fragile dal punto di vista della coerenza con il principio di capacità contributiva e con l’essenza stessa del tributo.

I numeri
41,2%
I soggetti esclusi
Secondo la relazione tecnica all’emendamento del Governo, i contribuenti esonerati dal pagamento dell’Irap nel 2022 saranno 835mila su una platea di 2,03 milioni di soggetti, pari al 41,2% del totale.
1,27
Minor gettito in miliardi
A regime l’esonero dall’Irap per le persone fisiche produrrà un calo di gettito di circa 1,27 miliardi di euro a decorrere dal 2023, secondo le previsioni della relazione tecnica all’emendamento del Governo.
1,2
Società di capitali
Le società di capitali che pagano l’Irap– e continueranno a versarla anche nel 2022 – sono 1,2 milioni secondo le dichiarazioni presentate nel 2019. Da loro arrivano oltre 10 miliardi di gettito.

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