Imposte

Piani di welfare, l’obiettivo non si misura solo con la Ral

La risoluzione 55/E/2020 indica la retribuzione annua lorda come criterio solo a titolo esemplificativo

di Giovanni Renella e Fabiola Rossi

L’esame preventivo di due regolamenti welfare a carattere premiale e incentivante, che per le loro caratteristiche principali possono essere considerati standard, ha costituito l’occasione per l’agenzia delle Entrate di puntualizzare alcuni aspetti nella risoluzione 55/E/2020.

In primo luogo l’agenzia delle Entrate sembra precludere l’accesso al regime agevolativo quando la ripartizione dei benefit «trovi giustificazione nella valutazione dell’attività lavorativa del dipendente, sia singolarmente considerato che in gruppo, ovvero su valutazioni strettamente connesse alla prestazione lavorativa». In altri termini, secondo i tecnici delle Entrate, se – al raggiungimento di un obiettivo aziendale – le erogazioni dei benefit a favore dei destinatari (siano essi individuati come «generalità dei dipendenti» ovvero come «categoria omogenea») sono modulate in base alla performance del lavoratore o di ben individuati gruppi di lavoratori, le finalità retributive prevalgono rispetto a quelle premiali/di fidelizzazione. Per questa ragione, «il regime di totale o parziale esenzione non può trovare applicazione».

Se, da un lato, si comprende e si condivide la preoccupazione delle entrate con riguardo a quelle situazioni in cui l’agevolato “strumento welfare” è utilizzato in sostituzione di retribuzioni fisse e/o variabili frutto di contrattazione individuale, altrimenti tassate ordinariamente in capo al dipendente, dall’altro lato, si ritiene che nelle ipotesi (prevalenti) in cui i piani di welfare sono strutturati in modo da garantire un’allocazione dei benefit basata su parametri oggettivi, seppur a livello individuale o di un gruppo individuato di lavoratori, la finalità premiale/di fidelizzazione sia comunque garantita. Tra l’altro, l’individuazione contenuta nel regolamento aziendale (e, quindi, ex ante) dei parametri cui i benefit sono ancorati consente agevolmente alle Entrate di verificare il raggiungimento degli obiettivi e, in ultima istanza, la natura fisiologica dello strumento premiale, con la conseguenza che – in questo caso – l’accesso al regime di favore non dovrebbe essere negato.

In tal senso sembra, peraltro, esprimersi la Direzione regionale della Lombardia nella risposta all’interpello n. 904-791/2017, relativa a un piano di welfare che assegnava a tutti i dipendenti dell’azienda un credito welfare (spendibile virtualmente per l’acquisto di specifici beni e servizi tramite una piattaforma web) subordinato al raggiungimento di un determinato obiettivo individuale nel primo anno e di un determinato obiettivo aziendale nel secondo anno. Secondo l’agenzia delle Entrate «la struttura del piano welfare di cui trattasi (che subordina l’accesso ai vari servizi al raggiungimento di determinati obiettivi di performance aziendale ed individuale con espressa indicazione del “credito welfare” attribuibile in funzione del livello di ottenimento di tali obiettivi), così come descritta, non parrebbe contrastare con la finalità delle norme agevolative in commento». Pertanto, «questa Direzione regionale ritiene che, nel caso in esame, sussistano … i presupposti per escludere da imposizione sul reddito di lavoro dipendente il valore dei servizi offerti alla generalità dei propri dipendenti … in relazione al primo ed al secondo anno di vigenza del piano welfare».

Nell’ambito, poi, della graduazione dei benefit, l’agenzia delle Entrate conferma precedenti posizioni di prassi, secondo cui i piani di welfare che premiano i lavoratori dell’azienda che ha incrementato il proprio fatturato con un’allocazione del credito welfare in base alla retribuzione annuale lorda (Ral) appaiono in linea con la normativa di favore e, pertanto, sono agevolabili. Viceversa, una ripartizione effettuata in base alle presenze/assenze dei lavoratori in azienda non sembrerebbe conforme alla ratio della disposizione.

Non si comprende il discrimine tra i due parametri, ossia perché il parametro Ral vada bene, mentre quello delle presenze/assenze non sia gradito. In fondo, se la preoccupazione dell’agenzia delle Entrate è comunque quella di evitare erogazioni di benefit su base soggettiva, collegandole a elementi oggettivi (in quanto tali, verificabili) a ben riflettere, il parametro delle presenze/assenze in azienda è sicuramente oggettivo e, tra l’altro, misuratore dell’apporto del singolo dipendente in termini di giornate di lavoro al raggiungimento dell’obiettivo aziendale.

Di contro, la Ral può essere il frutto di una negoziazione (molte volte risalente e cristallizzata nel tempo) tra le parti, che porta a premiare i dipendenti con una retribuzione fissa maggiore, non necessariamente espressiva del livello di performance individuale nel raggiungimento dell’obiettivo aziendale.

Da ultimo, si ritiene che il riferimento alla Ral contenuto nella risoluzione 55/E/2020 sia riportato a titolo esemplificativo e non esaustivo, nel senso che anche altri parametri, purché oggettivi e di facile verifica, possano assumere la stessa funzione di premialità/fidelizzazione assegnata dall’agenzia delle Entrate alla Ral. A favore di questa considerazione depone una lettura sistematica (e illuminata) dei commi 2 e 3 dell’articolo 51 del Tuir.

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