Pochi gli atti da notificare con un anno in più
Nel decreto Rilancio manca il coordinamento con la sospensione dell’articolo 67 del cura Italia
La proroga di un anno della notifica degli atti impositivi prevista dal decreto Rilancio potrebbe riguardare in realtà un numero ridotto di atti. La nuova norma non sembra infatti coordinarsi con i maggiori tempi di rettifica, assegnati dai precedenti decreti legge agli uffici e legati alla sospensione dei versamenti.
Viene ora previsto che, in deroga alla legge 212/2000 (erroneamente indicata come decreto) gli atti di accertamento, contestazione, irrogazione sanzioni, recupero crediti imposta, liquidazione e rettifica, per i quali i termini di decadenza scadono tra il 9 marzo e il 31 dicembre 2020, sono emessi entro fine anno, ma notificati nel 2021, salvo casi di indifferibilità e urgenza. Sono le ipotesi di violazioni costituenti reato o per le quali è ravvisato il pericolo di riscossione.
Emissione e notifica
È sicuramente singolare (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri) la scelta di differire di un anno solo la notifica degli atti, mentre l’emissione deve avvenire entro il 2020. A tal fine l’elaborazione o l’emissione sarà provata anche dalla data di elaborazione risultante dai sistemi informativi dell’Agenzia, compresi i sistemi di gestione documentale. Si tratta di informazioni presumibilmente riscontrabili attraverso un accesso agli atti, salvo che gli uffici non decidano di allegare tali dati agli atti notificati.
Gli atti prorogati
L’aspetto più delicato riguarda l’individuazione dei provvedimenti oggetto di proroga. Sostanzialmente il decreto rinvia al 2021 la notifica di tutti gli atti impositivi i cui termini di decadenza scadono tra il 9 marzo e il 31 dicembre 2020, ferme restando le disposizioni del comma 1 dell’articolo 67 del decreto Cura Italia.
Tale norma ha sospeso dall’8 marzo al 31 maggio i termini relativi alle attività di liquidazione, controllo, accertamento, riscossione e contenzioso da parte degli enti impositori. Come chiarito dalle circolari 11 e 8 del 2020, anche in considerazione delle previsioni dell’articolo 67, comma 4, si tratta «dello spostamento in avanti del decorso dei termini per la stessa durata della sospensione».
In concreto, tutto ciò che ordinariamente scade entro il 31 dicembre 2020, è “differito” del numero di giorni intercorrenti tra l’8 marzo e il 31 maggio 2020, ossia 85 giorni (a dire il vero, c’è qualche perplessità anche su tale numero, atteso che l’ultima circolare ne indica 84, non includendo, come dovrebbe, il primo o l’ultimo).
Ne consegue che la rettifica di tutte le dichiarazioni del 2015 non scadrebbe più il 31 dicembre 2020, ma il 26 marzo 2021 (in virtù dei citati 85 giorni) e pertanto non troverebbe applicazione la nuova norma sulla proroga di un anno della notifica. Essa infatti fa letteralmente riferimento agli atti i cui termini di decadenza scadono al 31 dicembre 2020.
Analoga questione riguarda buona parte degli atti di irrogazione e contestazione sanzioni e di liquidazione ai fini del registro, donazioni e successioni. La decadenza del potere di rettifica per questi tributi matura, di norma, trascorsi due o tre anni dal compimento dell’atto. Va da sé che, tutti gli atti che avrebbero scadenza ordinaria (ai fini della rettifica) dopo l’8 ottobre 2020, slitterebbero al 2021 (in virtù dei ripetuti 85 giorni), e quindi non beneficerebbero della proroga della notifica nell’anno successivo.
Poiché appare singolare che la norma sul decreto rilancio, per le finalità dichiarate, riguardi così pochi atti, è verosimile che si tratti dell’ulteriore mancato coordinamento normativo che complica ancor più il calcolo dei termini.