Prima casa, rinuncia alla comproprietà senza agevolazione
Secondo la Cassazione l’atto a titolo gratuito è soggetto a imposta di registro e non gode del trattamento agevolato
L’atto di rinuncia a titolo gratuito alla quota di comproprietà è soggetto a imposta di registro e non si rende a esso applicabile l’agevolazione «prima casa». È questo, in sintesi, quanto deciso dalla Cassazione nell’ordinanza n. 10667 del 22 aprile 2021, prima di precedenti in sede di legittimità.
La rinuncia alla quota di comproprietà provoca, per effetto di legge, la proporzionale espansione delle quote di cui sono titolari gli altri comproprietari (articolo 1104 del Codice civile). Se effettuata a titolo oneroso (e cioè verso il pagamento di un corrispettivo), non c’è dubbio che alla rinuncia alla quota di comproprietà sia applicabile l’imposta di registro (gli atti di rinuncia sono espressamente contemplati nell’articolo 1 della Tariffa parte prima allegata al Dpr 131/1986, testo unico dell’imposta di registro).
Se la rinuncia è effettuata a titolo gratuito e, quindi, senza la pattuizione di una controprestazione, pure non dovrebbe esservi alcun dubbio circa l’applicabilità dell’imposta di donazione (e delle imposte ipotecaria e catastale con l’agevolazione “prima casa”): l’articolo 2, comma 47, dl 3 ottobre 2006, n. 262, sancisce infatti che «l’imposta sulle successioni e donazioni» di cui al d. lgs. 346/1990 (il testo unico dell’imposta di successione e donazione), si applica anche ai «trasferimenti di beni e diritti … a titolo gratuito») e per l’articolo 1, comma 2, Dlgs 346/1990, «si considerano trasferimenti anche … la rinunzia a diritti reali».
Nella giurisprudenza di merito sono conosciute ben 24 sentenze che così decidono (tutte passate in giudicato, di cui 10 in secondo grado), contro due sentenze di Commissione Regionale (che non hanno riconosciuto l’agevolazione prima casa, ma senza mettere in dubbio l’applicabilità dell’imposta di donazione alla rinuncia a titolo gratuito); una di queste due è quella che ha dato luogo al giudizio conclusosi con l’ordinanza 10667/2021.
Senonchè nell’ordinanza 10667/2021 della Cassazione si legge: «Va … escluso che la rinuncia … vada esente dall’imposta di registro». Insomma, due negazioni con le quali la Corte pare affermare la sottoposizione a imposta di registro della rinuncia al diritto di comproprietà, il che è abbastanza sorprendente in quanto:
- qualche riga prima di questa affermazione, la Corte considera «che il fenomeno dell’espansione del diritto di proprietà per effetto della rinuncia ai diritti che lo comprimono» ne è «la diretta conseguenza», con ciò riconoscendo che la rinuncia alla quota di comproprietà comporta un effetto espansivo automatico in capo agli altri proprietari e, quindi, una situazione dalla quale non dovrebbe scaturire una manifestazione di capacità contributiva;
- la stessa Cassazione ricorda la propria ordinanza n. 2252/2019 con la quale è stato deciso che l’atto di rinuncia a titolo gratuito al diritto di usufrutto è soggetto all’imposta di donazione, «poiché esso rientra nell’ambito degli atti traslativi o costitutivi di diritti reali di godimento, in virtù dell’effetto di arricchimento del beneficiario conseguente alla rinuncia al diritto da parte del suo titolare».
In effetti, se la rinuncia al diritto di usufrutto è soggetta a imposta di donazione, non c’è ragione di sottrarre all’imposta di donazione la rinuncia alla quota di comproprietà. Qualunque sia poi l’imposta applicabile, non vi è motivo di escludere l’agevolazione “prima casa” (che riduce l’imposta di registro negli atti a titolo oneroso e le imposte ipotecaria e catastale negli atti a titolo gratuito).
L’ordinanza 10667 lo esclude, motivando la decisione con l’argomento dell’eccezionalità delle norme agevolative e della necessità della loro «stretta interpretazione»; ma, come sopra accennato, gli atti di rinuncia sono espressamente equiparati agli atti traslativi sia nella legge di registro che nella legge sull’imposta di donazione.