Rapporti col sindaco della società? Nulla la nomina del revisore
La delibera non è valida anche se c’è una semplice ripartizione dei costi
L’esistenza di un rapporto professionale, anche se di mera ripartizione dei costi, tra il revisore e il sindaco di una società, compromette l’indipendenza e l’obiettività del primo e quindi rende la delibera di nomina nulla per violazione della norma di cui all’articolo 10 del Dlgs 39/2010. È quanto deciso dalla Cassazione (ordinanza 14/19), oggetto del caso 3/2020 pubblicato martedì 3 marzo da Assonime.
La vicenda inizia con il rigetto del giudice delegato alla procedura di amministrazione straordinaria, della domanda di insinuazione del credito di un professionista per l’attività di revisione legale del bilancio della società oggetto della procedura. Ad avviso del giudice la nomina del revisore era invalida per difetto di indipendenza a causa del legame professionale tra il “controllore” e uno dei sindaci della società.
Il ricorso del revisore si fonda su due motivi: l’indipendenza è riferita solo ai rapporti nei confronti della società e non nei confronti dei componenti del collegio sindacale e, per la sussistenza dell’incompatibilità, i rapporti patrimoniali devono essere significativi. La Cassazione ritiene infondati i motivi e respinge il ricorso precisando che «nel concetto di società, rientra a pieno titolo, anche l’appartenenza al collegio sindacale quale organo facente parte della governance» . Quest’ultimo svolge un ruolo significativo nell’iter di approvazione del bilancio ed è anche l’organo che formula all’assemblea la proposta per la nomina del revisore, il che impone la necessità di escludere possibili condizionamenti in presenza di rapporti patrimoniali tra sindaco e revisore.
Per quanto riguarda la necessità che la relazione sia significativa, la Suprema corte, ricorda che il legislatore ha accolto il principio dell’ indipendenza in apparenza, che fa venire meno «l’indicazione contenuta nella raccomandazione della Commissione europea del 16 maggio 2002», circa la necessità che i ricavi per l’attività di revisione siano superiori a una soglia critica rispetto al totale. Interessante la parte finale del documento di Assonime in cui si sottolinea la presenza di criticità nelle conclusioni a cui è giunta la Cassazione che ha dichiarato la nullità della nomina in presenza di una situazione di compromissione dell’indipendenza. Ad avviso dell’Associazione, l’articolo 10 non sancisce un effetto diretto sulla validità dell’atto di nomina in presenza di detta compromissione bensì si limita a vietare lo svolgimento dell’incarico.
La differenza non è di poco conto poiché la nullità non è sanabile, mentre la disposizione in parola, si limita a obbligare il revisore a scegliere tra il «conservare la relazione con la società controllata incompatibile con l’esercizio della revisione oppure effettuare la revisione ponendo però fine alla relazione incompatibile». A conferma, Assonime richiama il Dm 61/2012 che disciplina i casi di revoca e dimissioni del revisore dall’incarico. Tra le cause che potrebbero causare l’una o l’altra, è indicata l’insorgenza di sopravvenute situazioni tali da compromettere l’indipendenza. Da ciò consegue che nel caso di mancanza di indipendenza sopravvenuta, gli istituti cui far ricorso sono la revoca o le dimissioni, mentre non è prevista la nullità. Con l’ulteriore considerazione che entrambi gli istituti avranno efficacia solo al momento del conferimento del nuovo incarico e non in quello in cui si è verificata la situazione di mancanza di indipendenza.