Controlli e liti

Reati tributari, per il consulente il concorso non è automatico

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di Laura Ambrosi

Il ruolo di consulente di imprese che hanno commesso illeciti penali tributari non è sufficiente a integrare il concorso nel reato del professionista essendo necessaria la prova di un contributo concreto, consapevole e ispiratore della frode da parte del consulente.
A ribadire questo importante principio è la Corte di Cassazione, sezione terza penale con la sentenza 36461 depositata ieri.

Alla consulente di alcune società venivano sequestrati saldi attivi dei propri conti e beni immobili perché ritenuta concorrente in una serie di reati tributari (omessa presentazione dichiarazione, false fatturazioni) commessi dalle imprese assistite. A seguito della misura cautelare era proposto ricorso al tribunale del riesame che lo rigettava.

La professionista ricorreva allora per cassazione lamentando, in estrema sintesi, che il tribunale nel rigettare il ricorso avesse fornito una motivazione del tutto apparente e apodittica. Nonostante uno specifico sollecito della difesa in tal senso non era stato chiarito quali condotte in concreto il consulente avesse posto in essere agevolando e concorrendo nelle violazioni tributarie commesse dal titolare delle società coinvolte.

Il tribunale, in buona sostanza, secondo la ricostruzione difensiva, aveva soltanto ribadito il ruolo di consulente fiscale dell'indagata che, di per sé, non è sufficiente a integrare il concorso nel reato.

Peraltro la professionista rivestiva la qualifica di consulente del lavoro di una sola società occupandosi esclusivamente di adempimenti correlati alle buste paghe mentre il ruolo di commercialista era svolto da altro soggetto.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso rilevando innanzitutto la carenza motivazione del provvedimento impugnato.

Infatti nella prospettazione del tribunale del riesame i reati tributari sarebbero stati posti in essere dalla professionista nella qualità di commercialista di fatto delle società in concorso con il titolare delle medesime società coinvolte.

Al riguardo non erano né state individuate le concrete condotte illecite riconducibili alla professionista, né era stato considerato che nel periodo di commissione degli illeciti tributari vi fosse un altro consulente fiscale che seguiva alcune delle società coinvolte.

Secondo la Suprema Corte il tribunale avrebbe dovuto, al contrario, enucleare le ragioni dell'individuazione del ruolo di consulente fiscale di fatto svolto dall'indagata chiarendo il contributo concreto svolto in relazione alle attività indicate nei vari capi di imputazione rilevando altresì la loro incidenza sulla realizzazione degli illeciti tributari.

Il concorso nel reato tributario da parte del consulente fiscale, conclude la Corte di Cassazione, richiede un contributo di quest'ultimo, concreto, consapevole, seriale e ripetitivo.

Il professionista inoltre deve essere stato consapevole e cosciente ispiratore della frode anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente.

Da evidenziare, per completezza che, di recente, la Cassazione (sentenza 28158/2019) aveva invece ritenuto sufficiente la sola consapevolezza della partecipazione alla frode fiscale del proprio cliente, per imputare al consulente la responsabilità in concorso nel reato tributario, a nulla rilevando che non fosse l'ispiratore degli illeciti

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