Redditi 2018, lo storno delle spese di ricerca e pubblicità «pesa» sull’Ace
Lo stralcio dei costi di ricerca e sviluppo incide sull’Ace in presenza di utili. È uno degli effetti della riforma introdotta dal Dlgs 139/2015.
Fra gli aspetti più complessi ai fini della determinazione dell’Ace dei soggetti Ires, per l’anno 2017, figura quello inerente allo storno, dalle immobilizzazioni immateriali, dei costi di ricerca e pubblicità, in precedenza capitalizzati a seguito della riforma introdotta dal Dlgs 139/2015. Questo tema è disciplinato dall’articolo 5, comma 7, del Dm 3 agosto 2017, in maniera estremamente scarna. Infatti, la norma prevede che ai fini del conteggio degli utili accantonati a riserva (variazione in aumento ai fini Ace) sono rilevanti una serie di ipotesi di rettifiche, operate in sede di prima adozione dei principi contabili, fra cui anche l’eliminazione di costi di ricerca e pubblicità non più capitalizzabili.
Effetto dell’eliminazione di costi di ricerca e sviluppo sull’Ace
L’articolo 5, comma 7, lettera a) del Dm 3 agosto 2017, che ha modificato le regole Ace, ha stabilito che nel determinare la variazione in aumento del capitale proprio – rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010 – rileva anche l’eliminazione dei costi di ricerca e pubblicità non più capitalizzabili. La relazione illustrativa precisa che l’eliminazione comporta un effetto immediato su utili e perdite riportati a nuovo, che si riflette «sulla dinamica delle future componenti di reddito da esse generate (assenza di ammortamenti per le spese non più capitalizzabili…)». È stato pertanto «ritenuto opportuno considerare rilevanti ai fini del calcolo della variazione di capitale proprio le rettifiche operate in sede di prima adozione, garantendo contestualmente la rilevanza (o l’assenza di peso) dei reversal futuri». Se ne deduce che l’iniziale variazione in diminuzione verrebbe eventualmente compensata, nei periodi d’imposta successivi, dai maggiori utili accantonati a riserva emergenti dai minori ammortamenti effettuati ai fini civilistici (mentre ai fini fiscali continuerebbe la deduzione delle quote residue).
Quindi, per esempio, i costi di ricerca capitalizzati a bilancio e stornati sull’esercizio 2016 per10mila euro rilevano interamente sull’utile civilistico e, quindi, anche ai fini Ace, mentre ai fini del calcolo del reddito d’impresa fiscale tale storno è irrilevante in quanto prosegue il normale processo di ammortamento di tali costi.
Storno contabile costi pubblicità e sviluppo. A livello contabile, le imprese che hanno proceduto con lo stralcio dei costi di pubblicità/ricerca al 1° gennaio 2016 si sono comportate nel modo seguente: in prima battuta dovevano essere diminuiti gli utili portati a nuovo, in mancanza di questi, si doveva utilizzare una riserva disponibile, e in caso di assenza di riserve disponibili, si doveva procedere con una ripatrimonializzazione del patrimonio netto. Quindi, la contabilizzazione nell’esercizio 2016 dello storno dei costi ricerca/pubblicità si è riflessa in termini di riduzione delle riserve, in primis degli utili portati a nuovo, e quindi del Patrimonio Netto complessivo.
Criticità nella gestione Ace dello stralcio costi ricerca/pubblicità
Per quanto sopra descritto, l’articolo 5 comma 7 del decreto attuativo Ace appare di non facile interpretazione, in quanto menziona una variazione in aumento quando lo storno di tali costi determina una riduzione del patrimonio netto. Se la logica di fondo della norma appare chiara – ridurre la base Ace in misura pari al valore residuo delle spese di ricerca e di pubblicità annullate, in modo tale da compensare una base Ace potenzialmente più elevata negli esercizi successivi, in cui l’utile accantonabile può essere maggiore per effetto dei minori ammortamenti –, le modalità tecniche con cui effettuare questa riduzione non sono chiare.
Secondo il documento emesso dal Cndcec il 30 ottobre 2017, l’importo complessivo delle rettifiche (quella in commento, così come quella relativa all’adozione retrospettica del costo ammortizzato) deve essere sommato algebricamente al risultato dell’esercizio in cui viene effettuata la transizione ai nuovi Oic, e tale dovrebbe essere l’utile rilevante ai fini dell’Ace.
Per il documento, quindi, posto un utile accantonato a riserva di 100 e rettifiche negative emerse in sede di prima applicazione dei nuovi Oic (Fta) per 20, l’utile agevolabile ai fini dell’Ace sarebbe pari a 80; in presenza di una perdita di 100 e di rettifiche positive da Fta di 20, invece, non si dovrebbe avere alcun incremento agevolabile (si è, infatti, in presenza di una perdita netta di 80); da ultimo, in presenza di un utile interamente distribuito di 100 e di rettifiche negative da Fta per 20, non si dovrebbe operare alcuna riduzione della base Ace, ma occorrerebbe posticipare la riduzione della base Ace di 20 all’esercizio successivo (o, più propriamente, al primo esercizio in cui vengono accantonati utili a riserva per un importo almeno pari a 20).
Questa impostazione sembra, quindi, imputare le rettifiche negative da Dlgs 139/2015 all’utile di esercizio in cui avviene la transizione, se e nella misura in cui in tale eserczio risulti accantonato a riserva.
Istruzioni ai modelli dichiarativi
Le istruzioni ai modelli di dichiarazione 2018 sono però meno specifiche. In primo luogo, le istruzioni al rigo RS113, colonna 1, del modello relativo alle società di capitali (dedicato alle variazioni positive della base Ace), richiedono che si indichi «l’importo degli incrementi del capitale proprio pari all’ammontare dei conferimenti in denaro e degli utili accantonati a riserva, a esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili nonché le rettifiche operate in sede di prima adozione dei principi contabili (…)».
Letteralmente ciò significherebbe che la variazione negativa da Fta di 20 dovrebbe andare a ridurre non solo gli utili accantonati a riserva ma anche gli apporti in denaro effettuati; si tratta, però, di una lettura che appare in contrasto sia con il dato letterale dell’articolo 5 comma 7 del Dm 3 agosto 2017 – che prevede tale «compensazione» solo con gli utili accantonati a riserva e non con i conferimenti in denaro – sia con la logica di fondo che anima la norma – stabilire, per quanto possibile, un’equivalenza rispetto alla base Ace che si sarebbe formata come se, da sempre, i costi di ricerca e di pubblicità non fossero mai stati capitalizzati –, la quale prescinde in modo totale dall’ammontare dei versamenti e dei conferimenti effettuati dai soci.
Rimane, tuttavia, il dubbio di come imputare le rettifiche negative da Fta e, in particolare, se prevedere la riduzione solo in presenza di un utile dell’esercizio di transizione accantonato a riserva o se, al contrario, imputarla anche alla base Ace pregressa, sempre limitatamente alla parte formata con utili accantonati a riserva. È un tema su cui risultano necessari espressi chiarimenti, anche alla luce del fatto che non è più operante la clausola di salvaguardia che l’articolo 12 delle nuove norme attuative ha previsto per quanto riguarda il raccordo tra disciplina agevolativa e adozione dei nuovi Oic, operante per il solo 2016.
Per approfondimenti:
« Ace – Le misure per la capitalizzazione delle imprese. Guida alla compilazione dei modelli Redditi 2018» a cura di Cristina Odorizzi, in edicola e online.