Controlli e liti

Reddito di cittadinanza, false dichiarazioni non sempre sanzionate

Nuovo orientamento. Si restringe l’area della rilevanza penale

di Giovanni Negri

La Cassazione cambia orientamento sul reddito di cittadinanza e, con la sentenza 44366/2021 della Terza sezione penale depositata il 1° dicembre, restringe l’area della rilevanza penale. Infatti non ogni falsa dichiarazione sui requisiti che danno diritto all’assegno deve essere sanzionata, come sinora ritenuto dalla giurisprudenza della Corte, ma solo quelle in grado di determinare la corresponsione.

La Cassazione ricorda, corroborandolo con i precedenti, l’orientamento che vede integrato il reato previsto dall’articolo 7 del decreto legge 4 del 2019 , il provvedimento che istituì il reddito di cittadinanza, dalle false indicazioni oppure dalle omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del assegno, indipendentemente dall’effettiva esistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio . Una conclusione che la Corte ha raggiunto mutuando soprattutto i principi via via consolidatisi in materia di accesso al patrocinio giudiziario a spese dello Stato.

La sentenza di ieri prende le distanze da questo orientamento che considera «non del tutto soddisfacente» perché rende possibile infliggere una sanzione «cioè la più grave delle sanzioni che l’ordinamento consente, anche alla sola violazione di un obbligo privo di concreta offensività, posto che tale violazione potrebbe non avere condotto, se il beneficio non fosse stato “indebitamente” richiesto stante la sussistenza di tutte le condizioni sostanziali per la sua erogazione, ad alcun effettivo nocumento per l’ente erogatore».

Per la Cassazione, infatti, la disciplina sul gratuito patrocinio mai richiama, come invece prevede quella sull’assegno di cittadinanza, il fatto che attraverso le false dichiarazioni si è cercato di ottenere indebitamente un beneficio. Dove a venire valorizzato nella riflessione è proprio quell’avverbio, «indebitamente», che permette alla Corte di distinguere tra una volontà di accesso al beneficio messa in atto in assenza degli elementi formali che avrebbero consentito l’erogazione, da una volontà indirizzata a un riconoscimento contro il diritto, cioè contro gli elementi sostanziali per il riconoscimento.

Appare così, conclude la sentenza, più in linea con in principi costituzionali sull’effettiva offensività del reato ritenere che con l’espressione «al fine di ottenere indebitamente il beneficio» la legge abbia inteso attribuire rilevanza penale ai soli casi in cui le false dichiarazioni avevano come obiettivo quello di ottenere un beneficio altrimenti non dovuto.

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