Reddito di cittadinanza, per la partita Iva nascosta via libera al sequestro
Secondo la Cassazione la rilevanza dell’omissione è tale da giustificare una misura cautelare per la quale basta il fumus del reato, anche in assenza di gravi indizi
Via libera al sequestro delle somme relative al reddito di cittadinanza, senza quantificare le entrate di chi le ha percepite se il beneficiario ha nascosto di avere una partita Iva. Il solo possesso di quest’ultima, rende infatti illegittima l’erogazione e fa scattare una “presunzione” di reddito. La Cassazione (sentenza 15258/2023) respinge il ricorso contro la misura, adottata per il reato di omissione dichiarativa (articolo 7 del Dl 4/2019) senza accertare l’esistenza di entrate incompatibili con il sostegno statale. La difesa della ricorrente, che si occupava di agricoltura e allevamento di animali, aveva fatto presente che la norma non fa riferimento, per la determinazione del reddito familiare, alla partita Iva, circostanza da considerare, di per sé neutra. In più l’indagata aveva invocato l’applicazione dei principi affermati dai giudici di legittimità con la sentenza 29910/2022, secondo la quale il reato c’è solo in caso di dolo specifico e se la percezione è avvenuta, grazie alle informazioni nascoste, in assenza dei requisiti di legge. Tesi questa in contrasto con il principio che sostiene la sussistenza del reato anche quando il tetto di reddito non viene superato e l’accesso al beneficio sarebbe stato comunque garantito. Orientamenti divergenti che hanno indotto la Suprema corte a rimettere la soluzione alle Sezioni unite che si esprimeranno il 25 maggio 2023. Una data che lo stesso sostituto procuratore generale della Cassazione chiedeva di attendere, rinviando il procedimento a dopo la decisione del Supremo consesso. Ma per i giudici non è necessario. Il collegio sottolinea, infatti, che la rilevanza dell’omissione è tale da giustificare una misura cautelare per la quale basta il fumus del reato, anche in assenza di gravi indizi. L’avere nascosto la partita Iva dimostra il dolo specifico e fa presumere l’esistenza di un’attività di impresa «anche in pendenza degli accertamenti in ordine ai ricavi dalla stessa generati e ai redditi che ne possono derivare in favore della ricorrente».