Controlli e liti

Registro, bocciata la riqualificazione degli atti basata sugli effetti economici

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di Massimo Romeo

L’attività interpretativa degli atti sottoposti alla registrazione impone di privilegiare l’intrinseca natura e gli effetti giuridici, rispetto al titolo e alla forma apparente degli stessi; l’amministrazione finanziaria, nell’effettuare tale attività, non può travalicare lo schema negoziale nel quale l’atto risulta inquadrabile, non potendo altrimenti arrivare ad una artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile, diversa da quella voluta dalle parti. In sostanza l’Ufficio non deve andare alla ricerca di «presunti effetti economici dell’atto». Questo il principio di diritto che si ricava dalla sentenza della Ctp Milano n. 1058/2019 del 7 marzo 2019 ( presidente Pilello/relatore Chiametti).

La sentenza torna a prununciarsi sulla natura dell’imposta di registro e, in particolare, sul potere di riqualificazione degli atti sottoposti all’agenzia delle Entrate per la registrazione ( articolo 20 del Tur). Fino all’intervento del legislatore tramite la legge di bilancio 2018, l’articolo 20 veniva utilizzato dall’amministrazione finanziaria , in chiave antielusiva, secondo gli effetti economici degli atti sottoposti alla registrazione nella misura in cui i contribuenti non riuscivano a dimostrare una reale funzione economica dei negozi messi in atto diversa dal risparmio fiscale ottenuto: esempio tipico la ripresa a tassazione conseguente alla riqualificazione di atto in cessione d’azienda o di un ramo di essa, avvenuta, secondo l’amministrazione finanziaria. , in modo “indiretto” allo scopo di conseguire un risparmio fiscale, tramite una sequenza di atti formali ( si veda il Sole 24 Ore del 6 aprile 2018). Le leggi di bilancio 2018 (interpretativa) e 2019 (confermativa) hanno restituito all’articolo 20 l’originaria struttura di imposta “d’atto”. Prima di tali interventi da parte del legislatore la norma in questione non era solo una disposizione interpretativa degli atti registrati ma anche volta ad identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario che dava prevalenza alla causa reale sull’assetto cartolare mirando alla regolazione degli interessi realmente perseguiti dalle parti, a prescindere da eventuali «intenti elusivi»; la sostituzione, operata dalla novella, della locuzione: «degli atti presentati» con la locuzione «dell’atto presentato» nonché l’introduzione del 53 bis ( rinvio al 10bis dello Statuto per l’abuso del diritto), hanno posto un importante argine all’interpretazione della natura dell’atto, oltre che degli effetti, che deve essere pertanto determinata esclusivamente da elementi contestuali all’atto stesso.

Nello stesso verso si muove la pronuncia qui commentata che concerneva l’impugnazione da parte di due società di capitali ( di seguito A e B) di un avviso di liquidazione in materia di imposta di registro basato sulla riqualificazione ( ex articolo 20 del Tur) degli atti notarili sottoposti a tassazione (il primo afferente atto di compravendita relativo ad una cessione di ramo d’azienda di un’attività alberghiera stipulata fra A e B – il secondo atto afferente la compravendita fra le stesse parti della porzione immobiliare ad uso albergo).

L’Ufficio aveva ritenuto che il comportamento delle parti fosse da considerare unitario considerandolo una «vera e propria cessione d’azienda unitaria» e recuperando l’imposta registro nella misura del 9%. Tralasciando le eccezioni proposte dalle parti ed entrando nel vivo delle motivazioni di accoglimento del ricorso , i giudici milanesi evidenziano che i comportamenti contrattuali e la “consecutio” degli atti negoziali posti in essere, non sono da considerarsi, come fatto dall’ufficio, produttivi di un unico effetto giuridico – tributario, ma devono essere visti come momenti di una più generale “riorganizzazione aziendale”, in quanto al contribuente non è vietato ricercare legittimamente il risparmio d’imposta (ex articoli 41 e 47 della Costituzione). Le operazioni poste in essere con gli atti sopra descritti, secondo il Collegio, non integrano gli estremi del comportamento abusivo, in quanto la finalità elusiva non è stata posta come elemento predominante ed assorbente, nei medesimi atti; pertanto, chiosa la Ctp, il contenuto giuridico deve essere riqualificato sulla base del singolo atto, con la specifica finalità economica, e non come complessiva serie di atti, disconoscendo i singoli effetti fiscali.

L’imposta di registro, concludono i giudici, ha ad oggetto gli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione e non i suoi effetti economici. È assolutamente illegittimo l’operato dell’ufficio che pretende di interpretare unitariamente, attraverso la configurazione di un’unica presunta causa negoziale, quelli che sono in realtà distinti atti giuridici, assoggettati nel sistema dell’imposta di registro, che è “un’imposta di atto” a distinta ed autonoma imposizione. Ogni atto è autonomo, e come tale, va trattato. Vale la pena di ricordare che la stessa Ctp ( medesimo estensore/sentenza 388/2010, sezione 21) già nel 2010, in fattispecie similare, aveva richiamato il concetto di imposta d’atto testé citato, “riesumato” dai recenti interventi del legislatore di cui in premessa; i giudici tributari milanesi , nella fase conclusiva della motivazione, così si esprimevano : «il contenuto giuridico deve essere riqualificato sulla base del singolo atto, con la specifica finalità economica, e non complessiva serie di atti, disconoscendo i singoli effetti fiscali».

Ctp Milano, sentenza 1058 del 7 marzo 2019

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