Imposte

Registro sulla divisione della comunione ereditaria calcolato sul valore venale

La risposta a interpello 534 va in controtendenza con la prassi quotidiana di Entrate e professionisti che utilizzano il valore catastale dei beni

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di Angelo Busani

Per determinare la base imponibile dell’imposta di registro dovuta per la divisione di una comunione ereditaria «occorre far riferimento al valore venale in comune commercio dei suddetti beni alla data della divisione e non al valore catastale». È la sorprendente conclusione cui le Entrate giungono nella risposta a interpello 534/2020 del 6 novembre.

Sorprendente perché la divisione, nella prassi quotidiana sia dei professionisti che delle Entrate, è sempre stata considerata esprimere un valore imponibile pari al reddito catastale aggiornato con i noti coefficienti (fatta eccezione per il caso dei terreni edificabili). Il carattere assolutamente pacifico di questa situazione è testimoniato dalla completa mancanza di giurisprudenza sul punto, fatta eccezione per una Ctr Piemonte (n. 10/2010) che ha affermato anch’essa il principio della tassazione su base catastale.

L’Agenzia argomenta la sua odierna conclusione osservando che l’articolo 34 del Dpr 131/1986 (il Tur, testo unico dell’imposta di registro) sancisce che la «massa comune» è costituita, nelle comunioni ereditarie, «dal valore … dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione»; e che l’articolo 14 del Dlgs 346/1990 (il Tus, testo unico dell’imposta di successione) a sua volta sancisce che la base imponibile, relativamente ai beni immobili compresi nell’attivo ereditario, è determinata assumendo il valore venale in comune commercio alla data di apertura della successione».

L’Agenzia però dimentica che, sia nell’ambito dell’imposta di successione (all’articolo 34, comma 5, Tus), sia nell’ambito dell’imposta di registro (articolo 52, comma 4, Tur) vige il principio per il quale l’ufficio perde il potere di rettifica del valore dichiarato in misura pari o superiore al valore che si ottiene moltiplicando i redditi catastali; e che nemmeno l’introduzione del principio del prezzo-valore (articolo 1, comma 497, legge 266/2005) e la disattivazione del metodo di valutazione catastale che ne è conseguito, ha mutato questo quadro normativo. Per la ragione che tale disattivazione concerne le «cessioni di immobili … diverse da quelle» per le quali si applica il «prezzo-valore»: è di tutta evidenza che la divisione non è una “cessione”, come anche l’interpello n. 534/2020 espressamente ribadisce (obliterando fortunatamente le conclusioni cui sono giunte le Sezioni Unite nella sentenza n. 25021/2019 ove è stata invece affermata la natura traslativa e non dichiarativa della divisione).

La tesi sostenuta nella risposta 534/2020, per il vero, non è nuova: venne già affermata nella risoluzione n. 136/E del giugno 2007 (non menzionata nella risposta n. 534). Ma il fatto che la prassi professionale, sia anteriore che posteriore, sia sempre stata incardinata sul principio della tassazione della divisione su base catastale e il fatto che l’Agenzia aveva appena prima detto l’esatto contrario (nella circolare 6/E del febbraio 2007, paragrafo 1.2), sono elementi che hanno sempre indotto a ritenere la risoluzione 136/E un mero incidente di percorso in una materia per nulla controversa.

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