Restituzione al sostituto di somme già tassate: a chi ha imponibili elevati conviene il rimborso al lordo
Come ottimizzare l’applicazione dei rimborsi dopo le istruzioni della circolare 8/E sul Dl 34/2020
Le somme tassate come reddito imponibile in anni precedenti, che il contribuente ha restituito nel 2020 al soggetto erogatore al netto della ritenuta subita, non costituiscono oneri deducibili e non è possibile chiedere il rimborso dell’imposta corrispondente all’importo non dedotto. Sono tuttavia fatti salvi i rapporti già definiti al 19 maggio 2020.
Queste le sintetiche indicazioni contenute nella circolare 7/E/2021, che illustra gli effetti per il dichiarante della novità introdotta dal decreto Rilancio (Dl 34/2020).
La nuova norma, con effetto dal 2020, ha stabilito che le somme tassate in anni precedenti e successivamente restituite dal contribuente al soggetto erogatore, se erano state assoggettate a ritenuta e vengono restituite solo per l’importo al netto della trattenuta subita, non costituiscono oneri deducibili (si veda l’articolo sul Sole 24 Ore).
Si tratta di una deroga alla regola generale, fissata dalla lettera d-bis) dell’articolo 10 del Tuir, per cui le somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a tassazione in anni precedenti, sono trattate come oneri deducibili dal reddito nell’anno della restituzione. L’ammontare, in tutto o in parte, non dedotto nel periodo d’imposta di restituzione può essere portato in deduzione dal reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi; in alternativa, il contribuente può chiedere il rimborso dell’imposta corrispondente all’importo non dedotto secondo modalità definite con un decreto del Mef (DM 5 aprile 2016).
I diversi regimi di recupero interessano solo i redditi tassati per cassa, visto che per il reddito di impresa esiste il meccanismo delle sopravvenienze. L’agenzia delle Entrate in passato ha chiarito che la disciplina si applica anche se le somme vengono restituite da parte di soggetti diversi dal contribuente che le aveva tassate, come ad esempio gli eredi (risoluzione n. 184/2001) e anche se la restituzione delle somme avviene in capo ad un soggetto diverso da chi le ha erogate (risoluzione n. 101/2007).
A partire dal 2020, quindi, esistono due diversi regimi di recupero delle imposte pagate su redditi tassati in anni precedenti e restituiti in un periodo di imposta successivo al soggetto pagatore, a seconda che quest’ultimo abbia, o non abbia, operato quale sostituto di imposta e che l’accordo (o il provvedimento) che dispongono la restituzione prevedano il rimborso del netto o del lordo. Le modalità con cui i sostituti di imposta, che ottengono i rimborsi, devono applicare la nuova disciplina sono state illustrate dalla circolare 8/E/2021 (per un commento si veda l’altro articolo sul Sole 24 Ore).
Se tuttavia prima del 19 maggio 2020 al sostituto era stato già rimborsato il lordo, si applicherà il regime previgente. Se la somma originaria non aveva subito ritenuta, invece, il contribuente può scegliere tra il trattamento come onere deducibile (anche in anni successivi se il reddito è incapiente) e il rimborso dell’imposta con l’aliquota del 23 per cento. È il caso, ad esempio, dei redditi di lavoro autonomo (professionale, ma anche diritti dautore) restituiti a clienti privati (o a clienti esteri, non tenuti ad operare alcuna ritenuta) e quelli di lavoro dipendente da datori privati (collaboratori domestici e badanti), i redditi da prestazioni occasionali e altri redditi diversi derivanti da operazioni tra privati (ad esempio per obblighi di fare, non fare o permettere, ma anche canoni locativi o indennità di avviamento).
La nuova regola del rimborso “al netto” prescinde infatti dal tipo di ritenuta e dalle modalità di tassazione: secondo la circolare 8/2021 per evitare ingiustificate disparità di trattamento la nuova norma va applicata tanto per le ritenute d’acconto quanto per quelle d’imposta e, nel primo caso, anche sui redditi tassati separatamente. A bene vedere, tuttavia, questa applicazione “a tappeto”può risultare penalizzate.
Se, ad esempio, un lavoratore autonomo nell’anno di percezione del reddito aveva una aliquota marginale elevata, si troverà di fatto penalizzato perché non potrà in alcun modo recuperare il differenziale tra il 20% della ritenuta subita e la maggiore aliquota pagata (che può arrivare fino al 43%), né otterrà alcuna restituzione delle addizionali pagate. Se lo stesso soggetto avesse optato per applicare la ritenuta con aliquota più alta (opzione consentita dalla risoluzione 199/2001), dovrebbe oggi restituire un importo inferiore.
Due situazioni di fatto identiche, visto che il totale Irpef originariamente pagato tra ritenuta e conguaglio è esattamente lo stesso, subiscono un diverso trattamento fiscale solo sulla base della misura originaria della ritenuta. Il testo introdotto dal decreto Rilancio sembra imporre una sola soluzione, visto che recita: «Le somme sono (che significa “devono essere”, Ndr) restituite al netto della ritenuta».
La circolare 8/2021 sembra invece aprire ad una lettura più equa, consentendo l’applicazione dei due regimi in funzione delle modalità di rimborso “netto” o “lordo”. Secondo l’Agenzia la nuova norma disciplina solo una modalità di restituzione delle somme già assoggettate a tassazione, che si aggiunge a quella già prevista (al “lordo” della ritenuta). Per chi ha redditi imponibili elevati è quasi certamente preferibile la soluzione del rimborso “al lordo”: è bene che i contribuenti ne tengano conto nel redigere il testo dell’accordo di restituzione o nel formulare le proprie difese davanti al giudice, perché la restituzione “al netto” potrebbe risultare penalizzante.