Contabilità

Retribuzioni convenzionali, crescita dello 0,5% per i lavoratori all’estero

Per i nuovi valori forfettari aumento più contenuto rispetto al 2020

di Roberto Rocchi e Marco Strafile

Con un sensibile ritardo rispetto al passato, nella Gazzetta Ufficiale n. 83/2021 del 7 aprile scorso è stato finalmente pubblicato il decreto interministeriale 23 marzo 2021 che fissa le retribuzioni convenzionali 2021 riguardanti i lavoratori operanti all’estero. Un ritardo sicuramente collegato alla pandemia in atto da più di un anno ormai, che ha influito sulle priorità normative, concentrate soprattutto sulla legislazione emergenziale (qui la tabella integrale).

I nuovi valori fanno registrare un incremento generalizzato dello 0,5% - rispetto allo 0,8% dello scorso anno - mentre risulta confermata la struttura delle tabelle in termini di settori di attività, di qualifiche lavorative e di stratificazione delle fasce di retribuzione nazionale.

Il decreto riguarda i datori di lavoro che impiegano personale fuori dal territorio nazionale ed è previsto dalla legge n. 398/1987, volta a tutelare i lavoratori italiani operanti all’estero. Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione del decreto, si ricorda il messaggio n. 995 del 18 gennaio 2012 con cui l’Inps ha chiarito come l’evoluzione normativa intervenuta in materia di lavoro all’estero, abbia esteso le garanzie previste dalla predetta legge n. 398 non solo ai dipendenti cittadini comunitari, ma anche a quelli extracomunitari soggiornanti di lungo periodo o in possesso di un regolare permesso di soggiorno e di un contratto di lavoro.

Il decreto, emanato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali di concerto con il ministero dell’Economia e delle Finanze, stabilisce ai fini contributivi dei valori forfetari imponibili, da utilizzare in caso di dipendenti che lavorano in Paesi esteri con cui l’Italia non ha stipulato una convenzione di sicurezza sociale o che ne hanno stipulata una “parziale”, che non copre tutti gli eventi assicurati dalla nostra normativa previdenziale. Dal 2001, in base all’articolo 51, comma 8 bis, del Tuir, le retribuzioni convenzionali devono essere utilizzate anche ai fini fiscali per determinare il reddito di lavoro subordinato prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di 12 mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.

Le retribuzioni convenzionali sono fissate per livelli di inquadramento con riferimento e comunque in misura non inferiore ai contratti collettivi nazionali di categoria raggruppati per settori di attività omogenei.

Per alcune categorie di lavoratori a ciascun livello di inquadramento corrisponde una retribuzione convenzionale imponibile mentre per altri (operai e impiegati - dei settori industria, autotrasporto e spedizione merci - quadri, dirigenti, giornalisti) la stessa è collegata a una determinata fascia retributiva.

In tal caso, prima di individuare l’imponibile convenzionale, occorre verificare in quale fascia retributiva si posiziona il lavoratore, in relazione al proprio livello stipendiale. Sul punto risulta utile segnalare come l’Inps nelle circolari di commento ai decreti di fissazione delle retribuzioni convenzionali, rinvii al parere espresso dal ministero del Lavoro (circolare Inps 21 marzo 1990, n. 72) secondo cui «… per retribuzione nazionale deve intendersi il trattamento mensile determinato dividendo per 12 il trattamento da contratto collettivo previsto per il lavoratore, comprensivo degli emolumenti riconosciuti per accordo fra le parti, con esclusione dell’indennità estero …».

L’articolo 3 del decreto prevede, inoltre, la frazionabilità giornaliera degli imponibili forfetari, utilizzando il divisore convenzionale 26, in caso di assunzioni, risoluzioni del rapporto di lavoro, trasferimenti da o per l’estero, avvenuti nel corso del mese.

La pandemia scoppiata lo scorso anno ha notevolmente inciso sulla movimentazione internazionale dei lavoratori, i quali a seguito delle restrizioni alla mobilità introdotte nei vari Paesi si sono trovati (o si stanno trovando) a svolgere il lavoro in Stati diversi da quelli di assegnazione originariamente previsti; tali situazioni molto spesso hanno delle conseguenze di natura fiscale inattese rispetto alle quali da più parti viene auspicato un intervento - normativo o di prassi - volto a neutralizzare i possibili effetti distorsivi connessi.

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