Controlli e liti

Riassetti aziendali imposti dalla crisi ancora a rischio abuso del diritto

Molti imprenditori temono che l’agenzia delle Entrate intervenga per sostituire la forma giuridica

ADOBESTOCK

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Per le attività imprenditoriali la ripresa dall’emergenza passerà in molti casi anche - e forse soprattutto - da forme di aggregazione e riorganizzazione aziendali (e da qualche passaggio generazionale “necessitato”). Su questi processi riorganizzativi, però, pende una sorta di spada di Damocle: quella delle possibili contestazioni in materia di abuso del diritto.

Molti imprenditori temono infatti, in una situazione già di per sé precaria, il successivo intervento delle Entrate. Questo perché, se almeno inizialmente (dalla risoluzione 97/E/2017), l’interpretazione dell’amministrazione è risultata in linea con i principi sottostanti al divieto di abuso del diritto, a partire dal 2019 l’Agenzia ha cominciato a fornire una serie di indicazioni abbastanza discutibili.

In alcune di queste – ed è l’argomento più temuto – l’Agenzia ha posto a confronto i percorsi giuridici individuati dai contribuenti con altre forme ritenute più “fisiologiche”, che (guarda caso) determinano una tassazione più onerosa. È stato anche fatto riferimento – come nella risposta 341/2019 – a «un numero superfluo di negozi giuridici, il cui perfezionamento non è coerente con le normali logiche di mercato, ma appare idoneo unicamente a far conseguire un vantaggio fiscale indebito».

Le logiche di mercato
Il fatto è che, in presenza di operazioni perfettamente valide ed efficaci, l’Agenzia non può sostituire una forma giuridica (o più forme) con un’altra (o con altre), solo perché quella usata dal contribuente risulta fiscalmente meno onerosa. Né tale sostituzione può essere operata effettuando un giudizio di conformità rispetto alle normali logiche di mercato. La valutazione di tali logiche non può che spettare all’imprenditore: non è affatto compito dell’Agenzia (né, poi, dei giudici) fare valutazioni economiche in relazione alle scelte dei contribuenti.

L’Agenzia deve soltanto verificare (nell’elusione) se, attraverso le operazioni realizzate, il contribuente ha conseguito un vantaggio fiscale illegittimo, tenendo conto che questi può perseguire i suoi obiettivi economici attraverso più forme giuridiche.

Ma gli obiettivi economici, le logiche di mercato, non possono – si ripete - essere sindacati dal Fisco: l’effetto economico dei negozi giuridici riguarda soltanto l’economia. Così come il Fisco non può individuare degli effetti economici ulteriori rispetto a quelli giuridici. Perché in materia tributaria non c’è alcuna previsione normativa che stabilisca – come principio generale – la rilevanza fiscale degli effetti economici dei negozi giuridici o, comunque, una sorta di supremazia della rilevanza economica sull’assetto del rapporto giuridico. Tranne quando la rilevanza economica dei contratti o delle operazioni viene espressamente disciplinata dalla legge.

Rimuovere gli ostacoli
Chiaramente, il Fisco può intervenire per rettificare le forme giuridiche utilizzate in presenza di vicende simulatorie/dissimulatorie, dove si è in presenza di un’asimmetria tra la situazione formale e quella reale.

Nell’abuso del diritto non c’è, invece, alcuna manipolazione della realtà. Vi è perfetta coincidenza tra ciò che le parti dichiarano di volere e ciò che realmente vogliono: è soltanto il vantaggio fiscale conseguito che risulta indebito. Cosa si può fare, allora, per scongiurare che tutta una serie di fenomeni aggregativi imprenditoriali risultino ostaggio di possibili (inappropriate) rettifiche fondate sull’abuso del diritto?

Il fatto è che il testo dell’articolo 10-bis dello Statuto risulta ispirato a logiche non del tutto condivisibili, in quanto, da un lato, sembra riferirsi a fenomeni tipicamente evasivi e, dall’altro, invade la sfera di libertà del contribuente.

Occorrerebbe quindi intervenire legislativamente per eliminare, innanzitutto, quello che risulta uno dei più grandi fraintendimenti tributari italiani, derivante da un retaggio della prima legislazione antielusiva tedesca, addirittura del 1919: l’inopponibilità. In sostanza, gli atti compiuti dal contribuente (perfettamente validi) vengono considerati inefficaci nei confronti dell’amministrazione; in questo modo, però, il Fisco può sostituire con altre le forme giuridiche utilizzate dal contribuente.

Inoltre, andrebbe eliminata dal comma 2 dell’articolo 10-bis la previsione secondo cui la mancanza di sostanza economica può derivare dalla «non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato». Come sì è detto, la valutazione delle logiche di mercato compete all’imprenditore, non al Fisco.

Le operazioni sotto la lente (a cura di Francesco Paolo Fabbri)

Risposta a interpello 13 del 29 gennaio 2019
Caso.
Con scissione parziale di una società di un gruppo si crea una newco, destinataria dei beni dell’attività industriale. Gli immobili per l’attività di locazione rimangono nella scissa, le cui partecipazioni vengono cedute a un’altra società del gruppo
Soluzione.
La fattispecie non risulta abusiva ma l’Agenzia ammonisce che, se la società scissa viene incorporata in quella che ha acquisito le partecipazioni, si ha un iter negoziale tortuoso che determina abuso del diritto ai fini dell’imposta di registro

Principio di diritto 20 del 23 luglio 2019
Caso. Tizio (persona fisica) detiene una partecipazione – precedentemente affrancata – in una società Alfa. Tizio cede la quota a una società Beta. In Beta lo stesso Tizio è in grado di esercitare particolari poteri. Beta viene incorporata da Alfa
Soluzione.
Per il Fisco l’operazione è circolare, quindi “abusiva”, senza un effettivo disinvestimento della partecipazione societaria. L’abuso – per le Entrate - si verifica al momento dell’incasso del corrispettivo (che l’Agenzia considera in realtà distribuzione di dividendo)

Risposta a interpello 341 del 23 agosto 2019
Caso. I soci di 2 a generazione di una Srl (Eta) formano una newco in cui, tramite cessione di quote rivalutate, confluiscono le partecipazioni degli altri soci. Così i soci di 1a generazione escono da Eta. La newco viene incorporata poi da Eta tramite fusione inversa
Soluzione. Secondo l’agenzia delle Entrate, le operazioni effettuate risultano abusive, perché il medesimo risultato poteva essere ottenuto tramite il recesso da parte dei soci di prima generazione della società Eta

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