Controlli e liti

Riciclaggio per l’avvocato che investe nella ristorazione il denaro del cliente

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di Eleonora Alampi e Valerio Vallefuoco

Integra gli estremi del reato di auto riciclaggio la condotta del professionista che investe in un’attività di ristorazione il danaro proveniente da una truffa da lui stesso perpetrata in danno di una cliente. La Cassazione con la sentenza 36522/19,depositata ieri, ha così ribadito che la destinazione del denaro “sporco”a un’attività economica non possa essere riguardata come mera utilizzazione o godimento personale dovendosi, pertanto, escludere la sussistenza della clausola di non punibilità contemplata dalla norma penalistica che punisce l’autoriciclaggio ( articolo 648 1ter del codice penale). Nel caso di specie, il professionista aveva utilizzato il denaro provento della truffa consumata in danno del cliente per avviare un’attività di ristorazione effettuando bonifici su conti correnti subito dopo aver proceduto all’incasso delle somme. Secondo la tesi della difesa, la punibilità di tale condotta andava esclusa in quanto scriminata dall’uso personale del denaro provento del delitto, tanto più che la modalità di trasferimento del denaro essendo del tutto tracciabile e, quindi, consentendo di individuare agevolmente le somme trasferite sarebbe stata sufficiente a escludere qualsiasi volontà di camuffamento della loro provenienza delittuosa; di talché, il tribunale aveva errato nel ritenere che la destinazione del denaro a un’attività economica non rientri nell’utilizzo personale.

La Corte nel respingere la tesi difensiva ha ribadito che l’investimento dei proventi della condotta delittuosa in una attività di impresa rientra a pieno titolo in quelle «attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative» richiamate dall’articolo 648 ter 1, 1° comma del codice penale, escludendo che nella specie possa parlarsi di uso personale. Sul punto, la Cassazione ha riproposto alcuni importanti passaggi che valgono a tracciare la differenza tra destinazione del denaro, del bene o di altra utilità alla mera utilizzazione o al godimento personale e la condotta punita a titolo di auto riciclaggio che consiste invece nell’impiego, nella sostituzione o nel trasferimento dei proventi illeciti in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative con modalità tali da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. In particolare, la Suprema corte è tornata a sottolineare che la clausola di punibilità rinviene la propria ratio nella salvaguardia del divieto del ne bis in idem che impedisce di punire due volte un soggetto per lo stesso fatto. Tale divieto verrebbe infatti violato ove l’agente venisse punito anche per il mero utilizzo o godimento dei beni provento del delitto presupposto senza porre in essere alcuna attività ingannevole al fine di ostacolarne l’identificazione.

Ciò determinerebbe, infatti, un’inaccettabile duplicazione sanzionatoria come tale contraria al principio del ne bis in idem. Da qui, la limitazione dell’applicabilità della non punibilità ai soli casi in cui i beni proventi del delitto restino cristallizzati nella disponibilità dell’agente del reato presupposto, perché solo in tale modo si può realizzare quell’effetto di «sterilizzazione che impedisce – pena la sanzione penale- la reimmissione nel legale circuito economico».

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