Rimborso dell’Iva, il quadro RX non basta per provare l’esistenza del credito
È legittima la richiesta di rimborso del credito Iva tramite esposizione in dichiarazione, ma il contribuente deve sempre fornire la prova della sua effettività. È questa la conclusioni dalla Ctr Lombardia 2071/24/2018 (presidente e relatore Ceccherini).
Un contribuente cessa nel 2004 la propria attività d’impresa senza ricevere a rimborso il credito Iva esposto nell’ultima dichiarazione. Alla fine del 2013 batte nuovamente cassa presso l’amministrazione, la quale tace facendo così maturare il silenzio-rifiuto.
Il contribuente si oppone dinanzi alla Ctp, ma il Fisco resiste perché questi non avrebbe fornito prova della sussistenza del credito esposto nell’ultima dichiarazione Iva. Mentre la Ctp sposa la tesi del ricorrente e dichiara dovuto il rimborso, la Ctr riconosce la legittimità del diniego.
In assenza della distinta presentazione del modello VR, che costituisce presupposto per l’avvio del procedimento di rimborso e della sua esigibilità, la mera indicazione nel quadro RX della dichiarazione Iva della somma del credito chiesto a rimborso non sancisce la sua automatica spettanza.
L’onere della prova circa la sua effettiva sussistenza ricade sempre sul contribuente e non si origina dalla semplice indicazione in dichiarazione, bensì dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo. Inoltre, l’ufficio che difende il suo diniego all’istanza può tenere un comportamento passivo e, non avendo svolto alcuna attività accertativa, può sempre attendere che sia il contribuente a dimostrare il fondamento della pretesa chiesta in restituzione.
Pertanto, se il contribuente non provvede neppure in sede processuale all’esibizione della documentazione giustificativa del credito Iva, rende di per sé legittimo il diniego.