Imposte

Rimborso diretto dell’Iva, possibilità esclusa se in Italia c’è stabile organizzazione

Il no dell’agenzia delle Entrate è stato confermato nella risposta a interpello 339/2020

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di Matteo Balzanelli e Massimo Sirri

Secondo le Entrate, la presenza di una stabile organizzazione in Italia rappresenta una causa ostativa al rimborso “diretto”. Questo è quanto dispone testualmente l’articolo 38-bis2 del Dpr 633/72, che esclude il rimborso “diretto” per i «soggetti che nel periodo di riferimento disponevano di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato».
L’articolo 3 della direttiva 2008/9/Ce, invece, fa riferimento alla «stabile organizzazione dalla quale fossero effettuate operazioni commerciali».

Due quindi sono i requisiti: l’esistenza di una “stabile organizzazione” e lo svolgimento di “operazioni” da tale stabile organizzazione. Secondo la Corte Ue, i due requisiti, per il concetto di «stabile organizzazione dalla quale [sono state] effettuate operazioni», sono cumulativi (cause C-318/2011 e 319/2011) e, «come sottolineato dalla Commissione, tale interpretazione corrisponde all’obiettivo delle pertinenti direttive, che è quello di consentire al contribuente di ottenere il rimborso dell’Iva versata a monte qualora, in assenza di operazioni imponibili attive nello Stato membro del rimborso, l’Iva versata a monte non possa essere detratta dall’Iva dovuta a valle».

Aggiungiamo poi che la norma nazionale e la relativa interpretazione ufficiale impongono di passare attraverso la stabile organizzazione per recuperare l’imposta, a prescindere dal fatto che l’acquisto sia riferibile a questa o alla casa madre, dimenticandosi così della “trasparenza” della stabile organizzazione (articolo 192-bis della direttiva 112/2006 e articolo 53 del regolamento 282/2011).

La risposta restrittiva
Il divieto d’accesso al rimborso “diretto”, confermato nella recente risposta a interpello 339/2020, come conseguenza della presenza di una stabile organizzazione, configura un’interpretazione eccessivamente restrittiva, in quanto basata su una lettura “rigida” della norma nazionale che però, come visto, ha recepito solo in parte quella comunitaria.

In linea con gli articoli 5 e 6 della direttiva 2008/9, invece, è la previsione che condiziona il rimborso alla sussistenza del diritto alla detrazione in capo al richiedente nel Paese di stabilimento (requisito soggettivo) e in funzione della detraibilità oggettiva nel Paese del rimborso (requisito oggettivo).

Tornando alla risposta 339, la pronuncia conferma anche gli adempimenti e gli oneri documentali cui è tenuto il soggetto non residente identificato (o con rappresentante fiscale) in Italia, ribadendo l’orientamento espresso in precedenza (circolari 14/E/2010, 36/E/2010 e 37/E/2011, risoluzione 21/E/2015 e risposta 11/2020): quando un non residente effettua un’operazione territorialmente rilevante in Italia nei confronti di un soggetto passivo ivi stabilito, si applica l’inversione contabile (articolo 17, comma 2, Dpr 633/1972). La fattura va quindi emessa con la posizione Iva estera e l’imposta dev’essere assolta dal cessionario/committente con autofattura o integrazione, a seconda dei casi.

E questo vale anche nel caso oggetto d’interpello, in cui la società non residente, identificata direttamente in Italia, concede in locazione fabbricati ubicati nel territorio dello Stato a soggetti passivi residenti, realizzando operazioni territorialmente rilevanti ex articolo 7-quater del decreto Iva.

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