Imposte

Risorse in cerca dell’effetto-leva

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di Federica Micardi

La Cassa di previdenza dei dottori commercialisti è da sempre sensibile agli investimenti nell’economia reale.

In più occasioni i vertici dell’ente hanno ribadito che aiutare l’economia del Paese è un modo per aiutare i propri iscritti, e nel caso dei dottori commercialisti il nesso è evidente e diretto. E non è un caso che Cassa commercialisti sia oggi presente nel capitale di Banca d’Italia (si veda il pezzo in pagina).

Un interesse che lo scorso anno è stato ribadito - proprio durante il «Forum in Previdenza» - con l’impegno di investire in un triennio 300 milioni di euro in attività legate all'economia reale e alle imprese nazionali. Gli strumenti scelti per effettuare questi investimenti sono essenzialmente il private equity e le quote in fondi comuni di investimento (Oicr). L’attenzione prescinde dai tentativi dei Governi passati di invogliare simili investimenti attraverso il riconoscimento di bonus fiscali.

Non sono ancora noti gli effetti dopo gli ultimi interventi, più incisivi dei precedenti, ma fino ad oggi i tentativi fatti dal legislatore non hanno influito sulle scelte della Cassa. Magari a Cassa ha beneficiato delle agevolazioni fiscali perché le scelte di investimento fatte si sono trovate ad intercettare i bonus, ma non certo perché queste agevolazioni hanno guidato le decisioni di investimento.

Il patrimonio che le Casse di previdenza potrebbero investire nel Paese è cospicuo. Un rapporto della Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale fatto nel 2014 rilevava che tra Casse e fondi di previdenza complementare c’erano 180-200 miliardi di euro in circolazione di cui la maggioranza in investimenti esteri. Una presa di coscienza che - nelle intenzioni della Commissione - doveva essere da stimolo per il legislatore a trovare le giuste leve per attrarre questo fiume di denaro. L’idea della Commissione era di cercare di veicolare nell’economia reale dai 10 ai 15 miliardi l’anno e, sfruttando l’effetto moltiplicatore, ottenere investimenti per almeno 30 miliardi. Il progetto, per ora, è rimasto sulla carta.

Dai dati Covip relativi al 2016 i miliardi investiti nelle imprese italiane da Casse e Fondi di previdenza erano 6,3 (in leggero aumento rispetto ai 6,2 miliardi del 2015) e se si guarda solo alle Casse l’investimento è stato di 3,3 miliardi. Eppure le leve sono note, perché già utilizzate, e con profitto, in altri Stati esteri. Si tratta di riconoscere incentivi fiscali, semplici e di immediata applicabilità.

Tanto volte è stata evidenziata l’anomalia tutta italiana di tassare il risparmio previdenziale, e quando l’obiettivo di allineare la tassazione delle Casse a quella dei Fondi di previdenza complementare sembrava “cosa fatta” si è ottenuto che la tassazione sui rendimenti finanziari passasse dal 20% al 26% e che la tassazione dei Fondi salisse dal 12,5 al 20 per cento.

Un cambio di passo sugli incentivi agli investimenti in economia reale si è registrato da un anno e mezzo. La legge di bilancio per il 2017 ha introdotto la detassazione per chi investe direttamente in azioni o quote di imprese residenti in Italia o in Stati Ue o appartenenti al See purché dotate di stabile organizzazione in Italia e per chi investe indirettamente in Oicr residenti in Italia o in Stati Ue o appartenenti al See che investano prevalentemente negli strumenti finanziari precedenti. Il Dl 50/2017 ha poi aperto alla possibilità di investire in Pir senza il tetto previsto per le persone fisiche (30mila euro l’anno e 150mila euro complessivi). La legge di Bilancio 2018, infine ha incluso tra gli investimenti agevolabili i peer to peer lending. Vedremo se queste leve porteranno, nel medio termine, risultati interessanti.

La questione su come coinvolgere attivamente i patrimoni delle Casse nell’economia reale resta un tema rilevante: su questo si incentra il «Forum in previdenza» che Cassa dottori ha organizzato domani a Roma.

Fino ad oggi le Casse si sono sentite una sorta di bancomat dove attingere in caso di necessità (si pensi alla spending review), e vengono sottoposte a una doppia tassazione - prima sui rendimenti finanziari maturati e poi sulle pensioni erogate. Una doppia imposizione che non trova un analogo in Europa.

L’altro limite su cui fino ad ora ci si è scontrati e che di fatto ha impedito di creare un “canale preferenziale” per Casse e Fondi per investire nel Paese, è la difficoltà di trovare un equilibrio tra le necessità del Governo e l’autonomia di gestione degli enti. La nascita di un fondo di investimento partecipato in maggioranza da Casse di previdenza e Fondi pensione si è infatti arenata sui alcuni presupposti di base: volontarietà nell’adesione, leva fiscale per garantire un ritorno economico agli iscritti, governance di tipo privatistico, possibilità di scegliere infrastrutture e progetti su cui puntare e,infine, chiarezza sul contesto e sugli interlocutori. Il futuro Governo potrebbe ripartire da questo punto.

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