Contabilità

Rivalutabili i marchi anche non iscritti a bilancio

Da approfondire la rivalutazione dei beni di impresa per queste situazioni

La rivalutazione dei beni d’impresa introdotta dall’articolo 110 del Dl 104/20 consente alcune riflessioni sia contabili sia fiscali sugli intangibili non iscritti in bilancio. Un caso classico riguarda i marchi d’impresa.

La finalità del provvedimento è consentire di rivalutare determinati asset senza l’obbligo di rivalutare tutti quelli rientranti in una determinata categoria omogenea, anche se ciò non si applicava ai beni immateriali (circolare 14/E/17 par. 5). Tale semplificazione si sposa con la più ampia finalità di una norma che intende venire incontro alle difficoltà delle imprese colpite dagli effetti della pandemia. La rivalutazione consente, infatti, di migliorare l’equity e i ratios patrimoniali che governano l’accesso delle imprese al credito bancario, nonché di fronteggiare meglio costi e perdite connessi all’esercizio 2020 condizionato dal Covid-19. È anche vero che i maggiori valori degli asset imporranno maggiori ammortamenti in futuro, motivo per cui la rivalutazione andrà ben soppesata, perché può rivelarsi di fatto una coperta corta (si veda Il Sole 24 Ore del 23 settembre 2020). Rispetto al passato gioca un ruolo fondamentale anche la fissazione di una sostitutiva assai calmierata (pari al 3%) che, a fronte dei maggiori ammortamenti deducibili ai fini Ires ed Irap (pari almeno al 27,90%) può determinare una netta convenienza anche fiscale.

In questo contesto va valutata la casistica dei marchi d’impresa, spesso protetti giuridicamente con la registrazione pur non essendo stati iscritti fra i cespiti. Ciò in quanto le spese di registrazione possono essere tutto sommato limitate e quindi la scelta dell’impresa può essere stata quella di spesare tutto a conto economico.

Ci si domanda, quindi, se in questo caso la rivalutazione sia consentita. Se si guarda al dato normativo, il comma 1 dell’articolo 110 del Dl 104/20 richiede che i beni d’impresa risultino dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2019. Ciò potrebbe quindi sembrare preclusivo alla rivalutazione di questi asset in quanto non iscritti. D’altra parte la protezione giuridica degli stessi potrebbe invece far propendere per la possibilità di una loro rivalutazione. Perché in definitiva impedirne la rivalutazione per il solo fatto che i costi siano stati spesati anziché capitalizzati parrebbe sperequato e comunque non decisivo.

Sempre dal punto di vista contabile, la norma di rivalutazione si applica ai soggetti che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio. La rivalutazione effettuata nel bilancio civilistico dovrebbe potersi conservare anche nel consolidato, posto che non si inquadra come operazione effettuata a livello infragruppo e quindi dovrebbe poter mantenere la sua validità.

Differente sembra, invece, l’ipotesi in cui vi sia un bilancio di esercizio Oic e un consolidato Ias, fattispecie che si riscontra ad esempio in ambito assicurativo. Perché da un lato il mantenimento della rivalutazione del marchio nel consolidato Ias potrebbe ammettersi ricorrendo, anziché al metodo del costo, a quello della rideterminazione del valore previsto dallo Ias 38. Sennonché mentre nei principi nazionali (Oic 24) l’iscrizione di un marchio autoprodotto è consentita, non altrettanto parrebbe in ambito Ias, laddove i paragrafi 63 e 64 dello Ias 38 non sembrano ammettere la rilevazione come attività immateriali di marchi, testate giornalistiche, diritti di editoria, anagrafiche clienti ed elementi simili nella sostanza, se generati internamente.

Per quanto concerne la rivalutazione di un marchio protetto non iscritto nell’attivo dello stato patrimoniale vi sono alcune pronunce fiscali che sembrerebbero far propendere per tale soluzione. Infatti l’ipotesi del marchio registrato ma non capitalizzato presenta delle similitudini con quella dei beni completamente ammortizzati. La circolare 14/E/17 (paragrafo 1) ammette la rivalutazione di tali beni, seguendo l’approccio previsto dall’articolo 2 del Dm 162/2001. Peraltro una vecchia risoluzione del ministero delle Finanze (la n. 9/611 del 10.8.1991, di recente richiamata anche nelle risposte 19 e 609 del 2020) sul frazionamento della plusvalenza relativa alla cessione di un marchio si era espressa favorevolmente nel considerare il marchio come bene patrimoniale in grado di generare plusvalenze, sebbene lo stesso non fosse mai stato iscritto in bilancio.

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