Contabilità

Saldo di rivalutazione da tassare solo se viene attribuito ai soci

Spesso le vicende successive alle operazioni agevolate sono oggetto di incertezze. Non è imponibile l’utilizzo della riserva diverso dalla distribuzione

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Molte delle problematiche successive legate alle rivalutazioni dipendono probabilmente dal fatto che le varie leggi succedutesi negli ultimi 20 anni non sempre hanno avuto una giustificazione plausibile. Una delle ultime preoccupazioni dei contribuenti deriva dal fatto che vi sarebbero alcuni interpelli non pubblicati – oltre a quello “ufficiale” 316 del 2019 – secondo cui, sostanzialmente, qualsiasi utilizzo del saldo da rivalutazione, diverso dalla copertura delle perdite, concorrerebbe alla formazione del reddito (della società e dei soci).

Per comprendere la questione, occorre partire dalla norma: l'articolo 13 della legge 342/2000, a cui praticamente tutte le leggi di rivalutazione successive hanno fatto riferimento. Il comma 1 dell’articolo 13 dispone che «il saldo attivo risultante dalle rivalutazioni … deve essere imputato al capitale o accantonato in una speciale riserva designata…, con esclusione di ogni diversa utilizzazione». Il comma 2 dispone ulteriormente che «la riserva, ove non venga imputata al capitale, può essere ridotta soltanto con l’osservanza delle disposizioni dei commi secondo e terzo dell’articolo 2445 del codice civile. In caso di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non si può fare luogo a distribuzione di utili fino a quando la riserva non è reintegrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria, non applicandosi le disposizioni dei commi secondo e terzo dell’articolo 2445 del codice civile».

È chiaro che le norme, fin qui, dettano (soltanto) le regole civilistiche della disciplina del saldo di rivalutazione.

La disciplina fiscale

Il regime tributario è invece fissato dai commi successivi. Il comma 3, in particolare, prevede che «se il saldo attivo viene attribuito ai soci o ai partecipanti mediante riduzione della riserva prevista dal comma 1 ovvero mediante riduzione del capitale sociale o del fondo di dotazione o del fondo patrimoniale, le somme attribuite ai soci o ai partecipanti, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società o dell’ente e il reddito imponibile dei soci o dei partecipanti».

Traspare, nitida, la scelta di collocare la riserva nella categoria delle riserve in sospensione d’imposta («se il saldo attivo viene attribuito…») e poi che si tratta di riserve tassabili solamente in caso di distribuzione («se il saldo viene attribuito ai soci … le somme attribuite… concorrono a formare il reddito…»). In sostanza, la tassazione del saldo di rivalutazione è ancorata specificatamente all’attribuzione dello stesso saldo ai soci o ai partecipanti. Con la conseguenza che “altra utilizzazione” del saldo di rivalutazione non determina emersione di materia imponibile.

È utile confrontare altre norme di rivalutazione del passato che, quando hanno voluto tassare qualsiasi utilizzo del saldo, lo hanno stabilito espressamente. Ad esempio, l’articolo 15, comma 10, del Dl 429/1982 aveva stabilito che «deve essere accantonato in apposito fondo e concorre alla formazione del reddito nel periodo d'imposta e nella misura in cui sia comunque utilizzato». Identica formulazione si ebbe con l’articolo 33, comma 9, della legge 413/1991.

In pratica, quando il legislatore ha voluto collegare l’estinzione della sospensione d'imposta a qualsiasi impiego del saldo di rivalutazione lo ha stabilito in modo esplicito. E non può valere, certo, il riferimento alla datata risoluzione 32/E/2005, con la quale venne affermato – a proposito proprio della rivalutazione della legge 342/2000 - che ogni utilizzo della riserva diverso dall’imputazione a capitale e dalla copertura delle perdite d’esercizio genera materia imponibile, perché si trattò, anche in quel caso, di pronuncia di prassi non rispettosa del dettato normativo.

La norma dell’articolo 13 della legge 342/2000 è chiara: essa indica espressamente i soli fatti che determinano il concorso alla formazione del reddito imponibile del saldo di rivalutazione, che non ammette alcuna estensione interpretativa della prassi (che si tratti dell’imputazione di un disavanzo da fusione a riduzione del saldo di rivalutazione o altro).

IN SINTESI
1. Il problema

Sta emergendo la questione dell’utilizzo del saldo da rivalutazione, per effetto di alcune risposte a degli interpelli secondo i quali l’utilizzo del saldo, tranne che per la copertura di perdite, concorrerebbe alla formazione del reddito.

2. La norma di legge

L’articolo 13, comma 3, della legge 342/2000 stabilisce che la tassazione del saldo di rivalutazione è ancorata all’attribuzione dello stesso saldo ai soci o ai partecipanti. Perciò una «altra utilizzazione» del saldo non fa emergere materia imponibile.

3. I precedenti

Altre norme di rivalutazione del passato, quando hanno voluto tassare qualsiasi uso del saldo, lo hanno stabilito espressamente (ad esempio articolo 15, comma 10, del Dl 429/1982 e articolo 33, comma 9, della legge 413/1991.L’articolo 13 della legge 342 citata, perciò, non ammette alcuna estensione interpretativa della prassi.

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