Imposte

Scissioni, dall’incorporante le riserve di rivalutazione

In bozza la circolare sul riallineamento. Più difficili le acquisizioni che contemplano fusioni con indebitamento

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di Michela Folli e Marco Piazza

Nella bozza di circolare in consultazione fino al 7 dicembre in tema di rivalutazione e riallineamento le Entrate, con riferimento a una scissione, affermano che le riserve di rivalutazione in sospensione d’imposta non possono annoverarsi fra quelle «tassabili solo in caso di distribuzione» di cui all’articolo 172, comma 5, del Testo unico. Alle stesse conclusioni l’Agenzia è giunta nel caso di fusione quando l’avanzo di fusione non sia capiente per assorbire la riserva di rivalutazione presente nel patrimonio dell’incorporata (si veda l’interpello 956-1943/2021 sul Sole 24 Ore di lunedì 22 novembre).

L’effetto di tale interpretazione è che la società incorporante o beneficiaria dovrà ricostituire la riserva in sospensione d’imposta iscritta dall’incorporata o attribuita alla beneficiaria utilizzando, in caso di incapienza dell’eventuale avanzo, le rispettive riserve disponibili (denominandole a tal fine) e il rispettivo capitale sociale (non vincolato ai fini fiscali). L’eventuale ulteriore eccedenza è tassata in capo all’incorporante o alla beneficiaria.

Un effetto che rende probabilmente irrealizzabili molti progetti d’acquisizione che contemplano fusioni con indebitamento.

Diamo un’idea dell’impatto di questa interpretazione. Si supponga che la società A, con capitale di 1.000 e debiti per 4.000, acquisti al prezzo di 5.000 la società B, nel cui patrimonio vi sono riserve di rivalutazione per 3.000, e successivamente la incorpori. La parte di riserva di rivalutazione che non trova capienza nel capitale della incorporante (2.000), non potendo essere ricostituita, concorre immediatamente alla formazione del reddito della stessa.

Con questa posizione, l’Agenzia ha smentito – senza citarla e quindi senza confutarne le argomentazioni – la risoluzione 1/E del 2001 (richiamata dalla 131/E del 2001) che, fino a ora, è stata considerata un caposaldo in questa materia.

Si dovrebbe, invece, tenere conto del fatto che l’articolo 172, comma 5, riproduce (con modifiche solo lessicali) l’articolo 123, comma 4, del Testo unico del 1986 e che la portata di questo comma era stata chiaramente illustrata dal legislatore stesso nella relazione governativa. La relazione citata era chiarissima nell’affermare che le riserve di rivalutazione rientrano fra quelle «tassabili solo in caso di distribuzione». In particolare, vi si legge: «la regola (…) enunciata nella prima parte del quarto comma, vale per quei fondi (…) la cui disciplina prevede la cessazione della sospensione e il recupero a tassazione quale che sia la causa che ha determinato l’estinzione del fondo. Non può invece valere, com’è evidente, per i fondi (come ad esempio la riserva di rivalutazione monetaria di cui alle leggi 576/1975 e 72/1983), che sono tassabili solo in caso di distribuzione”.

Coerentemente, la risoluzione 1/E del 2001 non solo aveva confermato che i saldi attivi di rivalutazione monetaria rientrano tra quei fondi tassabili solo in caso di distribuzione, ma aveva anche spiegato il funzionamento del secondo periodo del comma 4 dell’articolo 123 del Testo unico - oggi 172, comma 5 - chiarendo che il regime di sospensione d’imposta dei fondi tassabili solo in caso di distribuzione «non si perpetua in presenza di disavanzo da annullamento o si perpetua in misura inferiore in ipotesi di avanzo incapiente da annullamento solo perchè, in tali fattispecie, le preesistenti riserve vincolate non sono più distribuibili, essendo state totalmente o parzialmente annullate».

Considerati gli effetti di quanto esposto nella bozza di circolare e nel citato interpello, la questione richiederebbe forse l’intervento del legislatore.

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