Scissioni societarie non proporzionali, il Fisco apre
Nel corso dell’ultimo anno l’Agenzia ha reso pubbliche numerose risposte ad istanze di interpello sulla valutazione della sussistenza di profili di abuso del diritto nell’ambito di operazioni di scissione (totale o parziale) non proporzionale. Una scissione si definisce non proporzionale qualora le partecipazioni nelle società beneficiarie (ed eventualmente nella società scissa, in ipotesi di scissione asimmetrica) siano attribuite ai soci in misura non proporzionale rispetto alle partecipazioni originarie. Proprio questa caratteristica rende tali operazioni di particolare interesse in determinate situazioni, tra le quali ad esempio:
conflitti tra soci che possono essere risolti dividendo il patrimonio tra più società, attribuite ai singoli soci;
riorganizzazioni per un passaggio generazionale, laddove il patrimonio dell’imprenditore può essere diviso in diverse società, ciascuna destinata a uno o più eredi.
Le ipotesi di utilizzo della scissione non proporzionale sono state recentemente esaminate dalle Entrate in varie risposte ad interpelli (si veda la scheda). In passato, in vigenza della norma antielusiva di cui all’articolo 37-bis, Dpr 600/1973, erano state considerate elusive scissioni non proporzionali finalizzate alla ripartizione del patrimonio fra i soci, in quanto non finalizzate a rendere più efficiente l’attività d’impresa ma strumentali all’assegnazione di beni ai soci stessi (risoluzione 5/E/2006).
Tali posizioni appaiono superate (anche grazie all’introduzione dell’abuso del diritto nello Statuto del contribuente) dalle risposte recentemente fornite dall’Agenzia, che ha sempre escluso l’abusività delle operazioni di scissione non proporzionale prospettate dai contribuenti (tranne che nella risposta 30/2018, con la quale, peraltro, è stata considerata abusiva la combinazione di una scissione non proporzionale di una holding con un conferimento ex articolo 177 del Tuir).
Il passaggio generazionale
In altre risposte (tra le altre, 36 e 40 del 2018 e 106/2019, tutte riguardanti frazionamenti di società immobiliari) le Entrate hanno affermato come la scissione non proporzionale sia operazione fisiologica per consentire ai soci della società scissa – in ipotesi di dissidi tra gli stessi – di proseguire separatamente l’attività.
Con riferimento all’utilizzo della scissione non proporzionale nei passaggi generazionali, l’Agenzia non ha ravvisato profili di abuso (risposta 89/2019) nel realizzo di una doppia scissione asimmetrica (combinata con donazioni di quote) finalizzata al trasferimento della società dai genitori ai figli.
La risposta 343/2019 ha riguardato invece il caso di una scissione totale non proporzionale mirata alla creazione di quattro nuove società, ciascuna interamente partecipata da un socio della scissa (esponenti di seconda generazione), con usufrutto (sulle azioni con diritto di voto) in capo a un esponente della prima generazione (diritto di usufrutto già esistente sulle azioni della scissa ante operazione). La scissione, diretta a consentire a ciascun socio della seconda generazione di realizzare in autonomia i propri investimenti, non è stata considerata abusiva, neppure in combinazione con l’inserimento di una particolare clausola negli statuti delle società beneficiarie. Tale clausola prevedeva, al venir meno del socio di prima generazione, la conversione delle azioni senza diritto di voto in azioni con diritto di voto, così da consentirne il trasferimento agli esponenti della terza generazione beneficiando dell’esenzione di cui all’articolo 3, comma 4-ter, Dlgs 346/1990 (esenzione dall’imposta di successione e donazione in caso di trasferimento di partecipazioni di controllo ai discendenti in linea retta).
Semplificazioni di governance
Con le risposte 75/2018 e 148/2019, l’Agenzia si è occupata di scissioni in favore di beneficiarie socie, poste in essere al fine di semplificare e razionalizzare gruppi societari.
Non rilevando profili di abuso, l’agenzia delle Entrate conferma la genuinità delle finalità perseguite dal contribuente, consistenti nella separazione di attività (la prima) e nell’accorciamento della catena partecipativa (la seconda). E afferma la libertà di scelta tra scissione in favore dei soci e assegnazione di beni ai soci, nonostante la differente fiscalità di tali operazioni.