Se si esce dall’Iri si tassa tutto
In caso di fuoriuscita, per qualsiasi motivo, dall'Iri, gli utili non ancora prelevati e assoggettati all'imposta sul reddito d'impresa vanno assoggettati a tassazione ordinaria con riconoscimento del credito d'imposta in capo al percipiente.
La così detta manovrina – ossia il Dl 50/2017 convertito in legge – approvata in via definitiva dal Senato, ma non ancora pubblicata in «Gazzetta Ufficiale», ha apportato delle modifiche alla disciplina dell'imposta sul reddito d'impresa, disponendo in merito al trattamento delle riserve di utili assoggettate alla predetta imposta (così detto plafond Iri) nel momento di un'eventuale fuoriuscita dal nuovo regime o di cessazione dell'attività.
È evidente, infatti, che una volta che non si dovesse più applicare la nuova flat tax – che tassa in modo separato in capo a imprenditori individuali e società di persone in contabilità ordinaria il reddito prodotto, ma non prelevato, attraverso un'imposta avente la stessa aliquota Ires – potrebbero rimanere assoggettati a imposizione separata alcuni redditi non ancora prelevati dall'imprenditore o dai soci delle società di persone.
In questo caso, dunque, il meccanismo che rende equilibrato il funzionamento della nuova imposizione verrebbe a cadere proprio per effetto dell'uscita dal regime. Riprendendo, infatti, la tassazione progressiva Irpef ovvero cessando l'attività, ci si deve chiedere qual è il trattamento che devono subire, da un punto di vista fiscale, le riserve di utili assoggettate a tassazione separata e non ancora prelevate.
In caso di continuazione dell'attività, vi sarebbe il rischio fiscale di non riuscire più a individuare la distribuzione di tali riserve e, una volta prelevati gli utili che le formano, essi risulterebbero non avere scontato l'Irpef, ma solamente l'Iri. Viceversa, qualora tali utili fossero messi in evidenza e all'atto del prelevamento fossero assoggettati a tassazione progressiva Irpef, non vi sarebbe modo, nel silenzio della norma, di recuperare l'imposta sul reddito d'impresa a suo tempo pagata. Non è possibile, infatti, renderli deducibili dal reddito del periodo d'imposta di prelevamento, perché, a quel punto, la tassazione sarebbe per trasparenza e tale meccanismo di deduzione non potrebbe trovare applicazione.
Medesime considerazioni possono essere effettuate, naturalmente, in caso di cessazione dell'attività.
La soluzione trovata attraverso il già citato Dl 50/2017 è quella di assoggettare a tassazione Irpef tutti gli utili già soggetti a tassazione separata ma non ancora prelevati al momento della fuoriuscita dal regime, riconoscendo, contestualmente, all'imprenditore o ai soci un credito d'imposta pari all'Iri che tali utili hanno già scontato.
Tale soluzione appare certamente ragionevole, ma potrebbe portare ad amare sorprese. Si pensi, per esempio, a un'impresa che nel periodo di applicazione dell'imposta sul reddito d'impresa non risulta avere subito prelevamenti importanti di utili. È evidente che all'atto della fuoriuscita dal regime, anche per cessazione dell'attività, il volume di redditi, imputati per trasparenza in capo all'imprenditore o al singolo socio delle società di persone, potrebbe far balzare in alto l'aliquota Irpef che, essendo progressiva, come ben noto aumenta con l'aumentare dei redditi tassabili.
Si tratta, quindi, di una disposizione di cui si deve necessariamente tenere conto di modo da evitare sorprese fiscalmente non gradite.
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