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Seconda ondata e blocco delle frontiere riaprono il dossier su stabili organizzazioni e cross border

La questione è se la nuova impossibilità di spostamento si possa ancora ritenere derivante da uno stato di crisi eccezionale e temporaneo

di Angelo Bonissoni e Raffaele Villa

L’impossibilità di spostamento transnazionale delle persone che potrebbe derivare dai nuovi lockdown deliberati in Europa renderà ancora cruciale la corretta interpretazione del diritto dei trattati internazionali per le attività cross border.

Il 31 ottobre 2020, dopo aver rilevato un preoccupante aumento dei contagi e seguendo a stretto giro l’esempio della cancelliera tedesca Angela Merkel e del Presidente francese Emmanuel Macron, anche Boris Johnson ha comunicato un nuovo lockdown. E così in Europa, dopo Irlanda, Germania e Francia, anche Uk è nuovamente costretta a limitare i movimenti delle persone. Il Belgio potrebbe essere il prossimo. Inoltre, stando alle dichiarazioni del Presidente della Commissione Ue Ursola von der Leyen, è probabile che i Paesi dell’Ue adottino misure sincronizzate ed estese a tutto il continente.

Ebbene, con la chiusura delle frontiere, ancorché la stessa potrebbe essere limitata ai soli confini con i Paesi non Ue, tornano attuali le preoccupazioni già espresse in occasione della prima ondata di contagi in campo di fiscalità internazionale. Ci si riferisce alle problematiche legate alle norme di fiscalità internazionale che distribuiscono la potestà impositiva tra i (due) Paesi del trattato tenendo conto del luogo in cui si trovano le persone; si pensi al caso in cui le stesse si trovino obbligate a causa delle restrizioni agli spostamenti a dover lavorare (home office) in un Paese diverso da quello in cui lavorano abitualmente. A tali preoccupazioni sollevate da alcuni Paesi membri dell’Ocse il documento «Oecd secretariat analysis of tax treaties and the impact of the Covid-19 crisis», nella versione del 3 aprile 2020, offre soluzioni basate su un’attenta analisi della disciplina dei trattati. Il documento analizza le tematiche riguardanti la creazione di stabili organizzazioni, la residenza fiscale delle società, i lavoratori cross-border e la residenza delle persone fisiche.

Con riguardo alle preoccupazioni legate alle stabili organizzazioni, l’Ocse ritiene che la modifica del luogo in cui il lavoratore svolge la propria attività lavorativa (stabile organizzazione materiale) ovvero del luogo in cui vengono conclusi i contratti da parte del lavoratore o dell’agente (stabile organizzazione personale) non possa costituire una stabile organizzazione in quanto la modifica del luogo di lavoro sarebbe eccezionale e temporanea e la conclusione di contratti avrebbe carattere di transitorietà; con la stessa logica, nei casi di stabile organizzazione da cantiere la temporanea interruzione dei lavori non determina la cessazione della stabile organizzazione stessa.

Con riguardo alle preoccupazioni legate al rischio di spostamento della residenza delle società, ricordando che i trattati contro le doppie imposizioni identificano il luogo della residenza con il luogo in cui si trova usualmente ed ordinariamente il place of effective management (Poem) della società, l’Ocse ritiene che una modifica temporanea del luogo in cui si trovino il Ceo e i senior executives non modifichi il Poem e quindi il luogo di residenza della società in quanto sarebbe una situazione straordinaria e temporanea dovuta al Covid-19.

Le soluzioni dell’Ocse considerano irrilevante l’impossibilità di spostamento delle persone (tamquam non esset) perché lo stato di crisi dovuto al Covid-19 è eccezionale e temporaneo.

Soluzioni condivisibili in occasione della prima ondata di contagi e conseguenti primi lock-down. Tuttavia, in occasione della seconda ondata di contagi e graduale (ri)chiusura generalizzata dei confini ci si domanda se la nuova impossibilità di spostamento possa ancora ritenersi derivante da uno stato di crisi eccezionale e temporaneo.