Sequestro preventivo, con l’annullamento (non definitivo) resta legittimo
La sentenza non definitiva della commissione tributaria che annulla per vizio formale la cartella relativa ad omessi versamenti iva non fa venir meno la pretesa erariale con la conseguenza che il sequestro preventivo operato in sede penale è legittimo. Solo un provvedimento di sgravio dell’ente impositore, infatti, rappresentando la rinuncia al tributo, può giustificare l’annullamento della misura cautelare. A ribadire questo principio è la Corte di Cassazione, sezione 3 penale, con la sentenza n. 36309 depositata ieri.
Nella vicenda oggetto della pronuncia, il Tribunale del riesame confermava il sequestro preventivo disposto dal Gip nei confronti del rappresentante legale di una società per omesso versamento Iva (articolo 10 ter Dlgs 74/00).
Avverso il predetto provvedimento, l’interessato ricorreva in Cassazione, evidenziando l’annullamento da parte della commissione tributaria, ancorchè non in via definitiva e per vizio formale, della cartella di pagamento. In buona sostanza era venuta meno la pretesa fiscale e, di conseguenza, il sequestro non poteva essere mantenuto. La Suprema corte ha respinto il ricorso.
In sintesi, secondo i giudici di legittimità, occorre operare una netta distinzione, ai fini del sequestro, tra sgravio da parte dell’ente impositore e giudizio tributario di annullamento (non definitivo).
Lo sgravio è un provvedimento dell’ente impositore necessario per formalizzare la cancellazione della propria pretesa. Si tratta di un atto pubblico fidefacente ed è costitutivo dell’effetto di estinzione del debito erariale. La Cassazione ha precisato che il mantenimento del sequestro non avrebbe giustificazioni in presenza di sgravio: venendo meno la pretesa erariale, infatti, la misura cautelare sarebbe illegittima poiché sarebbe finalizzata alla confisca di un profitto in realtà inesistente (annullato dall’ente impositore).
Le sentenze della commissione tributaria invece non sono automaticamente rilevanti nel processo penale. Nella specie, l’Ufficio non aveva sgravato la pretesa a seguito del giudizio della Ctp.
La pronuncia conferma un orientamento già espresso in precedenza dai giudici di legittimità e induce a qualche riflessione sotto il profilo operativo in presenza di casi analoghi a quello esaminato della Cassazione.
Infatti, sebbene nella sentenza non sia precisato, sembra potersi dedurre che sarebbe stato sufficiente, per la revoca del vincolo, lo sgravio dell’ufficio. In altre parole, non pare si possa far riferimento esclusivamente ad una rinuncia definitiva della pretesa da parte dell’ente.
In questi termini, peraltro, si è recentemente espressa la Suprema corte con la sentenza 355/2019 che ha confermato un precedente orientamento (Cassazione 19994/2017 e 39187/2015).
Poiché, di norma, l’ente impositore, a seguito della sentenza tributaria favorevole al contribuente, provvede allo sgravio della pretesa, potrebbe essere opportuno, in queste ipotesi, non tanto allegare ai giudici penali la sentenza tributaria favorevole all’interessato ma il successivo sgravio operato dall’ente impositore (in esito alla medesima sentenza)
Cassazione, sentenza 36309/2019