Controlli e liti

Sì al recupero del credito Iva illegittimamente indicato in dichiarazione

di Emilio de Santis

Sì al recupero del credito Iva illegittimamente esposto in dichiarazione e non utilizzato. Lo afferma la sentenza 11656/2017 della Cassazione , nell’accogliere il ricorso delle Entrate contro la sentenza d’appello. In sostanza, nel caso di disconoscimento di un credito Iva indicato in dichiarazione – derivante da un’operazione commerciale ritenuta inesistente – è legittimo il recupero da parte dell’amministrazione finanziaria, non essendo rilevante che il credito Iva sia stato utilizzato in compensazione o che ne sia stato chiesto il rimborso, ancorché ciò non possa essere fatto successivamente, in quanto il credito sia dichiarato inesistente con statuizione giudiziale divenuta definitiva.

La vicenda riguardava un avviso di accertamento con il quale l’amministrazione finanziaria aveva recuperato il credito Iva riportato nella dichiarazione relativa al 2003, in seguito alla contestazione – non impugnata dal contribuente – di un acquisto immobiliare, non effettuato realmente. L’articolo 54 del Dpr 633/1972 sancisce che l’ufficio procede alla rettifica della dichiarazione qualora il contribuente abbia (solamente) indicato «un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante». Ed è «del tutto irrilevante l’utilizzazione o meno, in concreto, dell’eccedenza di credito da parte del contribuente, perché non potuto compensare con un pari importo a debito anche negli anni successivi a quello di maturazione ovvero per non averlo richiesto a rimborso (con le modalità e nei termini consentiti), trattandosi di vicende successive che non incidono sul diritto dell’amministrazione finanziaria a recuperare il credito di cui il contribuente indebitamente fruisce al momento in cui lo riporta nella relativa dichiarazione».
Ma neanche le sanzioni previste dagli articoli 6, comma 6, e articolo 9, comma 1 e 3, del Dlgs 471/1997 possono essere risparmiate, sul rilievo che le stesse vadano a sanzionare «le mere intenzioni della società contribuente». Infatti «l’ipotesi di non utilizzo del credito indebitamente riportato in dichiarazione, non è prevista né come condizione di inapplicabilità delle sanzioni in esame, né come causa di non punibilità ex articolo 6 del Dlgs 472 del 1997, e addirittura non è idoneo a giustificare una riduzione delle stesse per ravvedimento ex articolo 13 del Dlgs».

La Suprema corte accoglie poi un altro motivo del ricorso delle Entrate, ritenendo anche applicabile (ex articolo 5, comma 4, del Dlgs 471/1997) sull’«eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della differenza». Attualmente, invece, dal novanta al centottanta per cento della maggiore imposta o della differenza «di credito utilizzato», le quali ultime parole – introdotte dall’articolo 15, comma 1, lettera e), n. 3 del Dlgs 158/2015 – fanno però parte del testo in vigore dal 1° gennaio 2017.

Cassazione, sentenza 11656/2017

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