Soci non liquidati esclusi dai ricorsi
È inammissibile il ricorso del socio per il debito della società estinta se non ha percepito alcuna somma dal riparto della liquidazione e l’ufficio non gli ha notificato alcun provvedimento direttamente. In assenza di una responsabilità nel pagamento del debito sociale, manca qualunque interesse ad agire in giudizio. A chiarire questo principio è la Ctr della Lombardia con la sentenza 2842/1/2017 (presidente Labruna, relatore Fucci).
L’agenzia delle Entrate notificava un accertamento a una società che veniva impugnato dinanzi al giudice tributario. La Ctp annullava la pretesa in accoglimento del ricorso della contribuente e la decisione veniva appellata dall’Agenzia.
Nelle more, la società si cancellava dal Registro imprese e veniva così richiesta l’interruzione del processo. Gli ex soci e l’ex liquidatore riassumevano il giudizio deducendo un loro interesse e chiedevano la fissazione dell’udienza.
Il collegio di appello ha innanzitutto ricordato che né i soci né il liquidatore subentrano automaticamente nei rapporti tra la società estinta e l’amministrazione finanziaria; manca il presupposto di una successione a titolo universale o particolare e un’eventuale responsabilità potrebbe sussistere solo se avessero incassato somme dalla liquidazione e nei limiti di queste (ex articolo 2495 del Codice civile).
I giudici hanno inoltre rilevato che eventualmente l’interesse ad agire da parte dei soci e dell’ex liquidatore avrebbe potuto ravvisarsi solo se ci fosse stata una pretesa avanzata nei loro confronti. Nella specie, la Ctr ha osservato che nessuno aveva incassato somme dalla liquidazione e l’ufficio non aveva notificato alcun provvedimento nei confronti delle persone fisiche.
L’accertamento era stato infatti indirizzato solo alla società successivamente estinta nelle more del giudizio. Ne conseguiva la mancanza di un concreto e attuale interesse a riassumere sia da parte degli ex soci sia dell’ex liquidatore; pertanto, l’istanza di riassunzione doveva essere dichiarata inammissibile.
La decisione offre lo spunto per più di una riflessione. La Suprema corte ha affermato il principio secondo cui l’estinzione della società non fa venir meno la legittimazione attiva e passiva dei soci in giudizio, anche se la pretesa del Fisco resta comunque vincolata a quanto eventualmente percepito nel riparto dell’attivo di liquidazione. Secondo la Cassazione, tale valore rappresenta il limite della responsabilità dei soci successori, ma non rappresenta il presupposto dell’assunzione della legittimazione processuale. Ciò, sia in senso attivo, perché il socio potrebbe avere interesse a proseguire nel contenzioso avviato dalla società estinta, sia in senso passivo, perché il Fisco potrebbe essere interessato a vedersi riconoscere un credito nei confronti dei soci ove siano percepite somme per sopravvenute ragioni non risultanti dal bilancio (Cassazione 15035 e 9094/2017).
La decisione della Ctr lombarda, che per quanto è noto è una delle prime ad essersi uniformata a tali principi, giudicando nel merito, ha escluso la responsabilità dei soci, evidentemente per l’assenza di un attivo da riparto.
Peraltro, l’inammissibilità della riassunzione delle persone fisiche è stata giustificata anche dalla mancanza di un atto a loro indirizzato da parte dell’ufficio, rimarcando così ulteriormente che non può esistere una successione automatica del debito sociale della società estinta.
Ctr Lombardia, sentenza 2842/1/2017