Società in chiusura alle prese con la scelta dell’autofallimento
La scelta del liquidatore di una Srl che presenta le dimensioni per essere sottoposta a fallimento (o liquidazione giudiziale) di presentare istanza di autofallimento, quando abbia contezza del fatto che l’attivo della liquidazione non è sufficiente a saldare i debiti e che i soci non intendono eseguire versamenti a fondo perduto, è molto delicata.
Tale scelta potrebbe infatti influenzare il giudizio sul comportamento colposo o meno del liquidatore nel non estinguere i debiti, visto che un eventuale accertamento di comportamento colposo permetterebbe ai creditori di chiedere allo stesso liquidatore il risarcimento per i loro crediti non incassati.
Queste questioni sono centrali nel momento in cui si assume il ruolo di liquidatore ed occorre vagliare attentamente le diverse posizione espresse in dottrina e giurisprudenza . Secondo un passaggio del Documento Oic 5 ( paragrafo 4.2.) il bilancio iniziale di liquidazione è fondamentale «ai fini dell’obbligo dei liquidatori di chiedere al tribunale la dichiarazione di fallimento della società, nel caso in cui dal bilancio iniziale risulti un deficit per il prevalere delle passività sulle attività, o comunque una situazione di illiquidità insanabile».
In questo documento si parla di obbligo, quindi una sua inosservanza non potrebbe che comportare un profilo di colpa per il liquidatore da cui discenderebbe una responsabilità personale. Tale posizione però non trova supporto in una specifica norma, e peraltro la posizione contraria presenta delle argomentazioni logiche difficilmente confutabili: in una Srl che vantaggi potrebbe ottenere il creditore dal passaggio da una liquidazione volontaria ad una giudiziale, nel senso di vantaggi che renderebbero ragionevole l’obbligo di richiedere il proprio fallimento in caso di insolvenza irreversibile? Partendo da questa domanda il Tribunale di Roma con la sentenza 2258 del 30 gennaio 2019 (e similmente anche il Tribunale di Milano, sentenza del 14 novembre 2007) ha confutato l’esistenza di tale obbligo. I giudici della Capitale sottolineano che il profilo colposo in capo al liquidatore che non ha attivato istanza di fallimento non si manifesta in sé, ma emerge solo se viene provato che la declatoria di fallimento avrebbe generato la soddisfazione dei creditori rimasti invece insoddisfatti dell’esito della procedura liquidatoria.
Ma, nella maggioranza dei casi, l’attivo non viene affatto implementato nel passaggio dalla liquidazione volontaria a quella giudiziale, ma anzi viene ridotto dall’addebito delle spese della procedura, il che paradossalmente non migliora, ma anzi peggiora, le aspettative dei creditori.
Sempre sotto il profilo dell’eventuale comportamento colposo del liquidatore merita attenzione anche il tema del rispetto , nei pagamenti, dell’ordine dei privilegi e della par condicio creditorum. Si tratta di prescrizioni non codificate per legge, ma la giurisprudenza prevalente si orienta in questa direzione (Tribunale di Milano, sentenza 7 ottobre 2016 e Tribunale di Genova sentenza 1125 del 2013). D’altra parte un qualche criterio deve pur sussistere per evitare che il liquidatore di una società, con patrimonio incapiente a saldare tutti i creditori, esegua pagamenti casuali o peggio ancora preferenziali.