Società di comodo, si riapre il dossier dello stop nel 2020
Le Finanze puntano a inserire in manovra una causa di disapplicazione generalizzata a causa del coronavirus
Con la prossima legge di Bilancio si riaprirà il dossier delle società di comodo. In gioco c’è l’introduzione di una norma destinata a congelare per il 2020 le penalizzazioni per le società che il Fisco considera “non operative”, così da tenere conto dell’impatto dell’emergenza Covid-19 sull’economia. La norma – già richiesta nei mesi scorsi da imprese e professionisti – è allo studio delle Finanze. La copertura finanziaria non pare un ostacolo insormontabile. Un primo tentativo andò a vuoto la scorsa primavera, quando si tentò di inserire in conversione al decreto cura Italia (Dl 18/2020) una causa di disapplicazione riferita al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2020. Si puntava allora a neutralizzare sia le penalizzazioni per le società che non raggiungono la soglia minima di ricavi (articolo 30, legge 724/1994), sia quelle per le società con perdite sistematiche nei periodi precedenti (articolo 2, commi 36-decies e 36-undecies del Dl 138/2011).
L’emendamento, già votato in commissione Bilancio al Senato, venne espunto in extremis prima del voto finale di Palazzo Madama, a causa della mancata copertura del minor gettito, stimato in 23,2 milioni di euro per il 2021 dalla Ragioneria generale dello Stato (nota 47767 del 9 aprile), con riferimento al solo «regime delle perdite sistematiche».
È una cifra che andrebbe considerata “a regime” se nella manovra dovesse trovare posto il definitivo superamento della disciplina sulle società non operative – anch’esso già proposto da più parti – ma in quel caso andrebbe valutato anche l’impatto sui contenziosi in corso.Secondo gli ultimi dati delle Finanze (anno d’imposta 2017) le società non operative sono circa 18.600 (l’1,6% del totale) e l’addizionale Ires del 10,5% a loro carico vale circa 16 milioni di euro. Ma è verosimile aspettarsi un allargamento della platea nel 2020.
Coefficienti ormai superati
È evidente, comunque, che le percentuali di redditività fissate dall’articolo 30 citato, se non del tutto fuori mercato, sono ormai poco probanti. Basta pensare al 6% previsto per gli immobili (percentuale ridotta per alcune tipologie particolari di unità). Nomisma ha rilevato un «indebolimento della domanda immobiliare trasversale», che coinvolge «il segmento residenziale, degli uffici e commerciale, sia per gli acquisti che per le locazioni». Il tutto accompagnato da «prezzi di compravendita in leggero calo, i tempi medi di vendita e locazione allungati, sconti praticati sul prezzo richiesto stabili o in flessione».
In questo contesto, in alcune situazioni favorevoli i coefficienti di redditività potrebbero essere rispettati (ad esempio immobili locati a imprese che operano nel settore delle forniture sanitarie), ma molto spesso saranno irraggiungibili alla luce delle rinegoziazioni dei canoni e della morosità. Peraltro, proprio in tema di percentuali di redditività è stato proposto un emendamento al Dl Agosto (Dl 104/2020) che prevede in pratica di dimezzarle in via strutturale.
Disapplicazione fai-da-te
Come regolarsi, allora, in attesa della prossima legge di Bilancio? Certamente per quanto riguarda il periodo d’imposta 2019 le scelte sono già state fatte. Al riguardo, va segnalato che con l’entrata in vigore delle disposizioni del Dlgs 156/2015 (che ha stabilito una volta per tutte la facoltà dell’interpello per le società di comodo) il contribuente ha ora la possibilità di “auto-disapplicarsi” la disciplina (in tal senso anche la circolare 9/E/2016 delle Entrate). La società può quindi “auto-valutare” che sussistono le oggettive situazioni che hanno impedito il conseguimento dei valori minimi (aspetto che vale solo nel “filtro” con l’Agenzia - si veda l’altro articolo).
In sostanza, pur non superando il test di operatività o avendo conseguito perdite per cinque periodi (e non essendoci ipotesi di esclusione per legge o di disapplicazione automatica), la società può ritenersi operativa, senza presentare interpello, così da non andare incontro a tutte le penalizzazioni previste (come il divieto di utilizzo in compensazione del credito Iva o della richiesta di rimborso dello stesso). Le preoccupazioni riguardano le conseguenze di un simile comportamento. È bene premettere che tale auto-disapplicazione non accende automaticamente alcuna “spia” del Fisco. L’apprensione dei contribuenti è legata anche alle eventuali sanzioni relative all’utilizzo in compensazione del credito Iva qualora l’Agenzia dovesse un giorno accertare la presunta “non operatività” della società.
La penalità, però, non potrà che essere quella del 30%, posto che non si tratta di credito inesistente (che prevede invece la sanzione dal 100 al 200 per cento). Il credito esiste a tutti gli effetti, ma viene utilizzato in dispregio alle norme di legge (se il giudice stabilirà che la società è non operativa), per cui la sanzione è certamente quella del 30 per cento (in tal senso anche la circolare 33/E/2016).Va inoltre ricordato che la società può auto-disapplicarsi anche parzialmente la disciplina delle società non operative. Con la circolare 25/E/2007 è stato infatti ammesso che la disapplicazione della disciplina può riguardare soltanto alcuni “asset”. Magari quelli colpiti da rinegoziazioni dei canoni indotte dalla crisi economica.
I numeri
23,2
Milioni di euro
È il gettito che verrebbe a mancare disapplicando il regime delle società di comodo per l’anno d’imposta 2020, secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato. La cifra è parametrata al solo regime delle perdite sistematiche
18.600
Società non operative
Sono le società incappate nelle penalità previste per le “non operative”, secondo le ultime statistiche del dipartimento delle Finanze, riferite all’anno d’imposta 2017. Si tratta dell’1,6% delle società italiane.